FOTOTECA SIRACUSANA
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SCRIPTPHOTOGRAPHY
Anton CORBIJN (Olanda)
ANTON CORBIJN
E’ solo questione di equilibrio. Perché un ritratto esca dalla dimensione “oggettiva” e acquisti quella “soggettiva” – cioè una vita propria che superi l’interesse della sola persona ritratta per divenire soggetto dal respiro autonomo – deve osservare tre componenti essenziali. Innanzitutto la fotografia deve svelare qualcosa del soggetto; deve rivelare qualcosa del fotografo; infine deve mostrare qualcosa di inedito. Al fotografo tocca il compito di creare un equilibrio tra queste componenti. Un buon fotografo, uno che rispetta queste componenti e ne sa dosare la rilevanza, potrebbe dunque affermare che non c’è alcuna differenza tra ritrarre un soggetto anonimo e uno invece conosciuto. Eppure se sotto i nostri occhi scorrono immagini di persone a noi anonime e altre di personaggi famosi è su questi che ci soffermeremo, con buona pace dell’assunto inziale. Due considerazioni. La prima è che con il soggetto anonimo non abbiamo alcun elemento in comune; la sua immagine ci giunge fredda, e guardarla non provoca in noi nessuna risonanza emotiva. La seconda è che con il personaggio conosciuto o, se preferite popolare, abbiamo una distanza mitigata da un senso di familiarità: noi non sappiamo nulla di lei o lui, ma conosciamo tutto del suo lato pubblico, ammiriamo il suo lavoro, apprezziamo quanto produce, il suo volto è stato fotografato migliaia di volte. Lo conosciamo e rivederlo non ci lascia indifferenti ma, proprio per la sovrabbondanza di immagini, il ritratto di un personaggio celebre dovrebbe lasciarci quasi disinteressati. L’olandese Anton Corbijn, ritrattista e fotografo di celebrità del rock e del cinema europeo e mondiale – le sue foto hanno tenuto a battesimo gli album di Joy Division, U2, Depeche Mode ecc. – rivela come sia possibile dire ancora qualcosa di grande sulla ritrattistica dei vip. Benché riconosca di stare di fronte a della autentiche celebrità mondiali Corbijn cerca prima di stabilire un contatto paritario, un’empatia, un legame fiduciario dopodiché, nel pieno rispetto dei ruoli, li invita in una terra di mezzo nella quale non smarriscono l’identità pubblica ma al contempo affiora un lato più intimo, riservato – se si eccettuano pochi casi quasi mai i musicisti ritratti da Corbijn imbracciano chitarre o altri strumenti musicali. Non sono altro che loro stessi, e questa nudità permette all’osservatore di riempire l’immagine di significato, quasi Corbijn avesse desiderato consegnarci un contenitore vuoto perché lo riempissimo delle nostre suggestioni. E queste fluiscono, obbedienti alle coordinate delle tre componenti essenziali e dunque conosciamo qualcosa del soggetto, qualcosa di inedito e qualcosa del fotografo. E di Corbijn apprendiamo che è rock come i suoi ritratti, lontano dalla celebrazione del glamour divistico del pop. Le sue sono fotografie su carta vetro, irriverenti e urticanti come la musica rock dev’essere e alle cui intemperanze rispondono i divi del cinema, come legati da un filo invisibile tessuto dal fotografo.
Giuseppe Cicozzetti
Foto Anton Corbijn
It's just a matter of balance. Because a portrait comes out from an "objective" dimension and acquires that "subjective" - that is, a life that overcomes the interest of the single person portrayed to become subject to autonomous breathing - must observe three essential components. First, photography must reveal something about the subject; must reveal something about the photographer; finally it has to show something unpublished. At the photographer touches on the task of creating a balance between these components.
A good photographer, one who respects these components and knows how important it is, could say that there is no difference between portraying an anonymous subject and a well-known one.
Yet if images of anonymous people go through our eyes, and others of famous characters are on these, we will dwell, with good peace of the initial concept. Two considerations.
The first one is that with the anonymous subject we have no element in common; its image gets cold, and looking at it does not cause any emotional resonance in us. The second one is that with the known character or, if popular, we have a distance mitigated by a sense of familiarity: we know nothing about her or him, but we know everything about his public side, admire his work, we appreciate what his produces , his face was photographed thousands of times.
We know it and see it does not leave us indifferent but, just because of the overabundance of images, the portrait of a celebrity character should leave us almost uninterested.
The Dutch artist Anton Corbijn, portraitist and photographer of rock and European and world cinema celebrities – he has photographed the debut of Joy Division, U2, Depeche Mode and others - reveals how it is possible to say something great about VIP portraiture.
Although he realized that he is facing authentic world celebrities, Corbijn seeks to establish an equal contact, empathy, trust, and then, in full respect of the roles, invites them to a land of medium in which they do not lose their public identity but at the same time emerges a more intimate and reserved side - except in a few cases almost never the musicians portrayed by Corbijn bend guitars or other musical instruments.
They are nothing but their own, and this nudity allows the observer to fill the image of meaning, as Corbijn wanted to deliver us an empty container for it to fill it with our suggestions.
And these fluctuate, obedient to the coordinates of the three essential components and therefore we know something about the subject, something unseen and something about the photographer.
And of Corbijn we learn that he’s rock just like his portraits, far from the celebration of the divistic glamor of pop. His photographs are on glassy paper, irreverent and hurtful, as rock music has to be, and whose intimidation responds to the divas of cinema, as tied by an invisible wire woven by the photographer.
Giuseppe Cicozzetti
ph. Anton Corbijn