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ANGELO ZZAVEN

Simile è la memoria a uno specchio rotto i cui pezzi si agitano per ricomporsi. Noi siamo quello che ricordiamo; il tempo, le vicende umane ne dilatano e confondono i contorni e tutto lotta per riprendere forma nella nebulosa e affollata galassia di frammenti. Una lotta struggente e implacabile combattuta sul piano della propria identità perché, come si è detto, l’uomo senza memoria è un uomo che non ha vissuto. La fotografia, fin dal suo nascere, ha accettato la sfida a dissipare i vincoli delle catene che l’avrebbero voluta “riproduttrice dell’oggettivo”, provando cioè ad ammutinare la connessione con il reale per farsi “interprete dell’invisibile”. Sfida concettualmente epocale che ha chiamato il mezzo tecnico a farsi medium tra due conoscenze, due diverse consapevolezze – visibile e invisibile – che hanno radicalmente modificato il modo di fotografare e dunque di rappresentare ciò che sappiamo vivere dentro ognuno di noi. Il tema della memoria, la sua rappresentazione è ormai un ‘topos’ ben frequentato, segno di un sopraggiunto e maturo codice linguistico. E ora la memoria, una volta evasa da una tradizione letteraria che vive tra le pieghe della scrittura o nelle parole ricordate della tradizione orale, si offre alla nostra vista. La memoria è lì, in quel rettangolo di carta impressionato dalla luce e con cui stabiliamo una relazione di connessioni. Il fotografo Angelo Zzaven, e a confermarlo è il suo lungo lavoro, ha cara la memoria dei luoghi, quasi come volesse restituirgli il ruolo primario dello svolgersi dei giorni dell’uomo. Con “Tentativo vano di ricordare” la sfida di una rappresentazione che per sua natura deve discostarsi dalle lusinghe rugginose, Zzaven ci dice che la memoria, qualora si intenda riannodarla, ci conduce in un territorio offuscato, disordinato, affollato da schegge e lampi che altro non desiderano che essere collocati nella loro giusta posizione spazio-temporale. Ma il conflitto, che nella sua fase preliminare è ribollente massa magmatica che attende d’affiorare, si placa più tardi agli ordini visuali del fotografo secondo un ordine prestabilito nel quale l’oscurità come il violento riverbero sono parti consustanziali del proprio linguaggio. Tutto ci appare ma è solo un momento, poi si dilegua, si ritrae furtivo perché si accomodi l’allusione e dunque Zzaven ci invita alla decrittazione d’un reale che ha perduto ogni materialità. Nell’evanescenza del pur forte contrasto – segnalo il robusto equilibrio del chiaroscuro – intravvediamo quel tanto che conosciamo tutti, che ci è noto e che ha segnato in qualche modo, anche distrattamente, la nostra esistenza: il mondo là fuori ci è noto ma è offerto attraverso la filigrana lacerata di una memoria da compattare. In questo Angelo Zzaven si dimostra assai abile. E attento, munito cioè di quella cura che ognuno dei ricordi merita. Ecco dunque ricomposte come in un puzzle rinvigorito da lunghe e multiple esposizioni le schegge dei ricordi, e come i tasselli di un puzzle attendono pazientemente di contribuire alla formazione dell’immagine, così le schegge visive di Zzaven attendono il loro turno per allinearsi tra le pieghe di una memoria che fuoriesce dagli argini dell’esperienza personale per divenire collettiva. Le fotografie di “Tentativo vano di ricordare”, a dispetto del titolo, riescono là dove l’incedere del tempo vorrebbe imporre il suo dominio; là dove la Storia si dilegua nella cronaca; là dove l’oblio vorrebbe comandare sulla memoria e stendere il suo nero velo. E noi, poiché amiamo gli uomini che hanno caro il sentimento della memoria e ancora più cari ci sono i fotografi che con il loro lavoro intendono celebrarne l’esistenza, non possiamo non apprezzare un progetto autoriale come “Tentativo vano di ricordare”. Osservandolo sentirete come una voce, flebile all’inizio, quasi timida ma che con il passare delle immagini si fa sempre più forte, chiara e riconoscibile. E tra i riverberi riconosceremo quelle voci: esse sono le nostre.   

Giuseppe Cicozzetti

da “Tentativo vano di ricordare”

foto Angelo Zzaven

https://angelozzaven.com/home/works/

Similar is the memory to a broken mirror whose pieces are stirred to recompose. We are what we remember; time, human events dilate and confuse the outlines and everything struggles to take shape again in the nebula and crowded galaxy of fragments.

A poignant and implacable struggle fought on the level of one's own identity because, as we have said, man without memory is a man who has not lived. Photography, since its beginning, has accepted the challenge to dispel the bonds of the chains that would have wanted to "reproduce the objective", trying to mutiny the connection with the real to become an "interpreter of the invisible".

A conceptual challenge that has called the technical means to become a medium between two knowledge, two different awareness - visible and invisible - that have radically changed the way of photographing and therefore representing what we know livin’ within each of us. The theme of memory, its representation is now a well-attended 'topos', a sign of a mature and mature linguistic code.

And now the memory, once evaded by a literary tradition that lives in the folds of writing or in the words remembered in the oral tradition, is offered to our sight. Memory is there, in that rectangle of paper impressed by light and with which we establish a relationship of connections. The photographer Angelo Zzaven, and to confirm it is his long work, he cherished the memory of the places, almost as if he wanted to give back to him the primary role of the unfolding of man's days.

With "Vain attempt to remember" the challenge of a representation that by its nature must deviate from rusty flattery, Zzaven tells us that memory, if we intend to renew it, leads us into a blurred, disordered territory, crowded with splinters and lightnings that they don’t want them to be placed in their right space-time position. But the conflict, which in its preliminary phase is seething magmatic mass waiting to surface, is subdued later to the photographer's visual orders according to a pre-established order in which darkness, like the violent reverberation, are consubstantial parts of their language.

Everything appears for just a moment, then it disappears, it withdraws furtively because it’s alluding to the allusion and therefore Zzaven invites us to the decryption of a real who has lost all materiality. In the evanescence of the strong contrast - I point out the robust balance of chiaroscuro - we glimpse that much that we all know, that we know and that has marked, even absent-mindedly, our existence: the world out there is known but it is offered through the torn watermark of a memory to be compacted. In this Angelo Zzaven proves to be very skilled.

And careful, equipped with the care that each of the memories deserves. Here, then, as in a puzzle reinvigorated by long and multiple exposures, the splinters of memories are recomposed, and like the pieces of a puzzle patiently wait to contribute to the formation of the image, so the visual splinters of Zzaven await their turn to line up in the folds of a memory that emerges from the banks of personal experience to become collective.

The photographs of "Vain attempt to remember", despite the title, succeed where the passing of time would impose its dominion; where history disappears in the news; there where oblivion would command the memory and spread its black veil. And we, because we love the men who cherish the feeling of memory and even more dear there are the photographers who with their work intend to celebrate their existence, we can not appreciate an authorial project as "Vain attempt to remember". Watching him you will feel like a voice, feeble at first, almost shy but with the passing of the images becomes stronger and clearer and more recognizable. And among the reverberations we will recognize those voices: they are ours.

Giuseppe Cicozzetti

from "Vain attempt to remember”

ph. Angelo Zzaven

https://angelozzaven.com/home/works/

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