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SCRIPTPHOTOGRAPHY

JAMEL VAN DE PAS

Vi sono città di cui non vediamo la fine perché forse una fine non ce l’hanno. Nulla nelle loro strade è chiamato a un ordine né esso è perseguito: non ha ordine la vita né lo hanno i giorni di chi vi risiede, il cui destino è troppo simile al grumo nervoso di un urbanizzato senza logica per poterlo confutare. Vi sono città in cui pare che la mano di Dio si sia divertita a spagliarvi un’umanità solitaria, non prima però di avere provveduto a distribuire equamente la stessa misura di disperazione e povertà. Forse, chissà, Dio vuole misurare il grado d’affezione dei suoi figli condannandoli a masticare la durezza di giorni senza destino, chiamando Sole e Luna a guardia delle loro sofferenze. Eppure questo inferno è vivo, quasi che i dimenticati avessero voluto ritagliarsi una personale rivincita proclamando le regole di un regno derelitto nel quale ognuno può trovare ristoro come può da sofferenza e disagio. Manila non fa eccezione. Chi, come chi scrive, ha visitato la capitale delle Filippine, avrà trovato le sue strade brulicanti di un’umanità impegnata a risolvere qui e ora il problema della sopravvivenza con le armi di una disperata e allegra vitalità. Agli infelici, si sa, l’ultima cosa a difettare è la fantasia. Le strade di Manila hanno una brillante oscurità, e il peccato si mischia con un sacro che qui è disposto a chiudere un occhio. Spesso entrambi.

Il fotografo olandese Jamèl van de Pas ha fotografato lo spirito contraddittorio e confuso di Manila. La serie “Manila Noir” restituisce proprio il clima di una metropoli i cui abitanti più sfortunati navigano come possono tra le pieghe d’una vita che si sarebbe desiderata diversa e nella quale la promiscuità dei costumi e insieme la loro tolleranza sono forme di solidale condivisione. Le fotografie di “Manila Noir” registrano l’atmosfera della moltitudine d’anime che si sviluppa in una metropoli asiatica, dei loro rapporti e della stratificazione sincretica di costumi e abitudini. Il sacro è presente, si diceva, ma non così prepotente da scacciare il profano; perché è il profano che procura da mangiare. Dunque accanto a immagini di processioni religiose (una lunga dominazione spagnola ha traghettato le Filippine nel Cristianesimo) si snodano immagini di giovani donne costrette a vendere il loro corpo: così è per le strade, così è nel lavoro di Jamèl van de Pas, in una filologia volta a non omettere nulla. E senza indugi, con il coraggio di chi sa di non potere nascondere alcunché, van de Pas si intrufola nei bordelli, negli orridi anfratti del sesso in contanti, consumato rapidamente nell’ intronato via vai di volti privi di storia. Nelle sue immagini c’è l’indulgenza del rispetto, il suo occhio è benedicente: van de Pas non giudica, registra. Il suo bianco e nero è drammatico, oscuro e tagliente, ossessivo. E’ incombente, come un destino che si profila e che non promette nulla: né di buono né di cattivo: proprio nulla. E in questo catalogo umano l’occhio del fotografo è così sollecitato da scattare quasi compulsivamente, rapito dall’urgenza di consegnare volti, atteggiamenti e, perché no, il sottile vezzo d’un’anziana signora, all’archivio umano di un’esistenza che lotta per se stessa. Con ogni mezzo, tanto che Dio, da lassù, guardando l’inferno cui ha voluto precipitare i suoi figli dovrà benedirli prima o poi. Questa è Manila e questo è “Manila Noir”, nera come i suoi giorni e luminosa come una disperazione.

 

Giuseppe Cicozzetti

da “Manila Noir”

 

foto Jamèl van de Pas

 

https://www.jamelvandepas.com/

 

 

There are cities of which we don’t see the end because perhaps they do not have one. Nothing in their streets is called to order, nor is it prosecuted: life has no order or the days of those who live there, whose fate is too similar to the nervous lump of an urbanized without logic to be able to disprove it.

There are cities in which it seems that the hand of God has been amusing to sowing out a solitary humanity, but not before having proceeded to equally distribute the same measure of despair and poverty. Perhaps God knows how to measure the degree of affection of his children by condemning them to chew the hardness of days without destiny, calling Sun and Moon to guard their suffering.

Yet this hell is alive, as if the forgotten ones wanted to carve out a personal revenge by proclaiming the rules of a derelict kingdom in which everyone can find refreshment as it can from suffering and unease. Manila is no an exception.

Who, as who is writing, visited the capital of the Philippines, will have found its streets teeming with a humanity committed to solving here and now the problem of survival with the weapons of a desperate and cheerful vitality. To the unhappy, you know, the last thing to lack is imagination. The streets of Manila have a brilliant darkness, and sin is mixed with a sacred that is willing to turn a blind eye here. Often both.

The Dutch photographer Jamèl van de Pas has photographed the contradictory and confused spirit of Manila. The "Manila Noir" series gives back just the climate of a metropolis whose most unfortunate inhabitants navigate as they can among the folds of a life that would have been different and in which the promiscuity of the costumes and their tolerance are forms of solidarity sharing. The photographs of "Manila Noir" record the atmosphere of the multitude of souls that develops in an Asian metropolis, of their relationships and of the syncretic stratification of customs and habits.

The sacred is present, it was said, but not so overpowering to drive away the profane; because it is the profane who procures food. So next to images of religious processions (a long Spanish domination has ferried the Philippines into Christianity) images of young women are forced to sell their bodies: it is in the streets, so it is in the work of Jamèl van de Pas, in a philology aimed at not omitting anything.

And without delay, with the courage of those who know they can not hide anything, van de Pas sneaks into the whorehouse, in the horrendous ravines of sex in cash, quickly consumed in the entangled go-go of faces without history. In his images there is the indulgence of respect, his eye is blessing: van de Pas does not judge, he records. His black and white is dramatic, dark and sharp, obsessive.

It is incumbent, like a destiny that is looming and promises nothing: neither good nor bad: just nothing. And in this human catalog the photographer's eye is so urged to shoot almost compulsively, kidnapped by the urgency of delivering faces, attitudes and, why not, the subtle habit of an elderly lady, to the human archive of an existence that fight for itself. By all means, so much so that God, from up there, looking at the hell to which his sons wanted to plunge, will have to bless them sooner or later. This is Manila and this is "Manila Noir", as black as its days and luminous as a despair.

 

Giuseppe Cicozzetti

from “Manila Noir”

 

ph. Jamèl van de Pas

 

https://www.jamelvandepas.com/

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