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SCRIPTPHOTOGRAPHY

William C. SHROUT                                                    (USA) 

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WILLIAM C. SHROUT

Non qui. Non ora. Prima o poi batteremo questo tempo. E quando accadrà, quando ci sentiremo finalmente liberi, riempiremo le strade coi nostri corpi, con le nostre voci. Ancora una volta e per sempre. Torneremo a guardarci, a stringere le mani, ad abbracciarci. Torneremo a baciarci. E con lo stesso entusiasmo di chi ha combattuto una guerra e l’ha vinta. Sarà lo stesso vociante entusiasmo che agitava le strade di New York il 15 agosto del 1945: è il V-J Day, e con la vittoria sul Giappone si celebra la fine della Seconda guerra mondiale. Times square brulica di gente, da ogni strada affluisce una festosa umanità. Lì vicino, sulla 45esima strada, dove Broadway converge con la Settima Avenue, Eisenstaedt, che ha dimenticato l’occhiataccia riservatagli da Goebbels, è in cerca dello scatto perfetto. E lo troverà nel bacio più famoso della storia della fotografia, quello tra un marinaio e un’infermiera. Ma non è di questa foto che voglio parlare, quanto piuttosto della sottile linea che agita il caso, quello che pone un fotografo là dove accade qualcosa che cambia il destino e fa sì che una foto diventi iconica relegando le altre a un, seppur pregevole, rumore di fondo. Là, su quelle strade di Manhattan, Eisenstaedt non è il solo fotografo a caccia d’un momento irripetibile. A confondersi tra la festa chiassosa di New York c’è un altro fotografo, che per ‘Life’ cerca la sua prospettiva su quel giorno di pace. Il suo nome è William C. Shrout. Le fotografie di Shrout hanno molto in comune con quelle di Eisenstaedt – i baci quel giorno abbondavano – ma catturano una cosa che Eisenstaedt non avrebbe potuto catturare: Eisenstaedt stesso. In una fotografia, Eisenstaedt bacia una giornalista, la sua macchina fotografica appesa alle spalle, in una posa non molto dissimile da quella che lo renderà celebre: “The Kiss”. Poiché mi piace pensare che il destino non è mai patrigno, vedo nelle fotografie di Shrout un equo trasferimento di merito, come un pizzico della fortuna assegnata invece a Eisenstaedt, perché le sue fotografie aiutano a mettere quel famoso bacio nel giusto contesto. Non solo. Guardando le fotografie di Shrout, mi piace pensare di precedere la storia, di sapere cioè quello che Eisenstaedt ancora non sa, del suo appuntamento con gli anonimi – fino a quel momento – protagonisti della sua celebre foto. E Shrout, senza volerlo, ci insegna una lezione: un fotoreporter deve essere un testimone imparziale della storia, ma è anche parte della storia a cui sta assistendo. La fortuna di una fotografia è scritta nell’incomprensibilità del caso, nella rarissima combinazione di elementi non predicibili e sfuggenti a ogni possibile tentativo di ingabbiarla dentro qualsivoglia parametro. C’è chi afferma, con una struggente nota romantica, che “le fotografie si ricevono”. Come un dono. In molti casi è vero. Per questo, quando la paura del contagio passerà, vorrei che si scendesse nelle piazze come per il V-J Day, a riprenderci la vita e a respirare ancora il suo profumo. In quell’ora vorrei che mille e più fotografi catturino lo spirito di una rinascita, la fine del timore e che ognuno di loro “riceva” la fotografia che attende.

Giuseppe Cicozzetti

foto William C. Shrout

 

Not here. Not now. Sooner or later we will defeat this time. And when it happens, when we finally feel free, we will fill the streets with our bodies, with our voices. Once again and forever. We will come back to look at each other, to shake hands, to embrace each other. We will come back to kiss each other. And with the same enthusiasm as those who fought a war and won it. It will be the same vocal enthusiasm that stirred the streets of New York on August 15, 1945: it is V-J Day, and with the victory over Japan the end of the Second World War is celebrated. Times square is teeming with people, a festive humanity flows from every street. Nearby, on 45th street, where Broadway converges with Seventh Avenue, Eisenstaedt, who has forgotten the glare reserved by Goebbels, is looking for the perfect shot. And he will find it in the most famous kiss in the history of photography, the one between a sailor and a nurse. But it is not about this photo that I want to talk about, but rather about the thin line that shakes the case, what puts a photographer where something happens that changes the destiny and causes a photo to become iconic relegating the others to a, although valuable, background noise. There, on those streets of Manhattan, Eisenstaedt is not the only photographer chasing an unrepeatable moment. To blend in between the rowdy New York festival there is another photographer, who for 'Life' seeks his perspective on that day of peace. His name is William C. Shrout. Shrout's photographs have much in common with those of Eisenstaedt - kisses abounded that day - but they capture something that Eisenstaedt could not have captured: Eisenstaedt himself. In a photograph, Eisenstaedt kisses a journalist, her camera hanging from behind, in a pose not unlike the one that will make him famous: "The Kiss". Since I like to think that destiny is never stepfather, I see in Shrout's photographs a fair transfer of merit, like a pinch of luck assigned to Eisenstaedt instead, because his photographs help to put that famous kiss in the right context. Not only. Looking at Shrout's photographs, I like to think of preceding the story, that is, of knowing what Eisenstaedt still does not know, of his appointment with the anonymous - until then - protagonists of his famous photo. And Shrout unwittingly teaches us a lesson: a photojournalist must be an impartial witness of history, but he is also part of the history he is witnessing. The luck of a photograph is written in the incomprehensibility of the case, in the very rare combination of unpredictable and elusive elements to any possible attempt to enclose it within any parameter. There are those who say, with a poignant romantic note, that "photographs are received". As a gift. In many cases it is true. For this reason, when the fear of contagion passes, I would like it to go down to the squares as for V-J Day, to take back our life and still breathe its scent. In that hour I would like a thousand and more photographers to capture the spirit of a rebirth, the end of fear and that each of them "receive" the photography that awaits.

Giuseppe Cicozzetti

ph. William C. Shrout

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