top of page

SCRIPTPHOTOGRAPHY

Cindy SHERMAN                                                                        (USA) 

g02a58untitled-film-still-58-1980_large.

CINDY SHERMAN

Per oltre trent’anni Cindy Sherman ha sempre catturato un’unica immagine: la propria. Lavorando a partire degli anni ’70 sul tema dell’autoritratto, la fotografa sì è trasformata davanti all’obiettivo modellando il proprio corpo sull’immaginario collettivo visivo contemporaneo. La Sherman assume così i ruoli di modella, fotografa, costumista, truccatrice, travestendosi e alterando il proprio aspetto attraverso l’uso di protesi, parrucche, ricalcando gli stereotipi visivi e psicologici sui quali sono costruite le forme della femminilità, in un gioco in cui l’identità non può che risultare come fluida e mutevole. Le foto che vediamo fanno parte della “Untitled Film Stills”, una serie di scatti realizzati sul finire degli anni Settanta – e che hanno ispirato numerose letture. Il titolo, letteralmente “Fermo Immagine Senza Titolo”, e la configurazione formale delle immagini, ci obbligano a guardare gli scatti come a dei fermo-immagine cinematografici, istanti sottratti al fluire della narrazione, momenti di una storia. Gli scatti della Sherman costituiscono dei “cliché” visivi di donna che sembrano offrirsi distrattamente all’obiettivo; e come nella consueta prassi cinematografica, i soggetti non guardano in macchina, direzionando invece lo sguardo al di fuori del quadro, come a evocare un fuori campo insistente nell’immagine: figure femminili che guardano al di fuori di una porta o di una finestra, dentro uno specchio, interrotte mentre leggono, piangono o scappano impaurite da qualcosa che non vediamo.
Ma noi sappiamo anche che non c’è nulla attorno o al di là dell’immagine, e dunque la lettura che ne consegue e che chiunque può fare, sono tutte equivalenti, poiché manca un contesto che àncora il riferimento. Le immagini di Cindy Sherman sono copie senza originale gettate nella tradizionale definizione del simulacro e che proiettano lo sguardo sul fascino inquietante di film mai realizzati, divenuti meno importanti rispetto all’immaginario che evocano.
Questi portano l’attenzione sul fatto che ogni fotografia presuppone la presenza di un mondo di suggestioni e ricordi dal quale sembra essere estratta. Rimandando direttamente a un contesto virtuale, sono in grado di catturare un immaginario diffuso o, meglio, non sono concepibili senza quel bagaglio visivo che evocano. Viviamo in una civiltà dominata dalle immagini, talvolta ne ignoriamo la provenienza, il più delle volte non lasciano nessun motivo per essere ricordate; ma quelle che si imprimono nella nostra mente non finiscono di nutrire il nostro immaginario.

 

Giuseppe Cicozzetti

da “Untitled Film Stills”

 

foto Cindy Sherman

 

For over thirty years Cindy Sherman has always captured a single image: her own. Working since the 70s on the theme of self-portrait, the photographer is transformed in front of the lens modeling her body on the contemporary visual collective imagination.

Sherman assumes the roles of model, photographer, costume designer, make-up artist, disguising and altering her appearance through the use of prosthetics, wigs, tracing the visual and psychological stereotypes on which the forms of femininity are built, in a game in which identity can only result as fluid and changeable.

The photos we see are part of the "Untitled Film Stills", a series of shots taken at the end of the seventies - and which inspired numerous readings. The title, and the formal configuration of the images, oblige us to look at the shots as cinematographic stills, moments taken away from the flow of the narration, moments of a story.

The Sherman’s  shots are visual "clichés" of women who seem to offer themselves distractedly to the lens; and as in the usual cinematographic practice, the subjects don’t look in the car, instead directing the gaze outside the picture, as if to evoke an out-of-focus insistent in the image: female figures looking outside a door or window, inside a mirror, interrupted as they read, cry or escape scared by something we don’t see.

But we also know that there is nothing around or beyond the image, and therefore the reading that follows and that anyone can do, are all equivalent, because there’s no context that anchors the reference. The Cindy Sherman’s images are copies without an original cast into the traditional definition of the simulacrum and which cast a glance at the disquieting charm of never realized films, which have become less important than the imaginary they evoke.

These lead attention to the fact that every photograph presupposes the presence of a world of suggestions and memories from which it seems to be extracted. Referring directly to a virtual context, they are able to capture a widespread imagination or, better, they are not conceivable without the visual baggage they evoke. We live in a civilization dominated by images, sometimes we ignore their origin, most of the time they leave no reason to be remembered; but those that are imprinted on our mind do not end up nourishing our imagination.

 

Giuseppe Cicozzetti

from “Untitled Film Stills”

 

ph. Cindy Sherman

bottom of page