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SCRIPTPHOTOGRAPHY

Alberto SELVESTREL                                                                   (Italia) 

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ALBERTO SELVESTREL

Se un fotografo ci invita a osservare le cose del mondo con i nostri stessi occhi, mostrandoci cioè quanto possiamo vedere anche noi, non avrà fatto un buon lavoro. La realtà, una volta scarnificata alla superficie, si presta a una moltitudine di letture, segrete, spesso nascoste ma che una volta stanate si dispiegano docilmente, offrendosi alla nostra meraviglia. Nel delicato passaggio della “traduzione” del reale a una forma espressiva autonoma quanto alternativa, il fotografo è chiamato a farsi medium, ad assumere a sé cioè l’onere di una trasposizione di segni che si compongano in quella che Mondrian, non lo cito a caso, chiamava “l’irriducibile potenza dell’essenziale”. Il lavoro del giovane fotografo Alberto Selvestrel, che possiamo osservare in “Link”, photobook di recentissima edizione, cerca di connettere le esigenze della rappresentazione del paesaggio – in questo caso marine – con la sua traduzione cercando, e direi trovando, una sintesi nel rapporto visuale, innestandosi prepotentemente nella dialettica del “cosa vediamo quando siamo convinti di vedere”. Le marine di “Link” ci trasportano in un mondo immaginifico e vero, la cui osservazione convoca tutti noi a ripensare l’interlocuzione tra il reale e la sua percezione, ed è in questo differenziale che in “Link” scorgiamo come tutto può essere declinato in un rigorosissimo linguaggio tanto intimo quanto intellegibile e nuovo. Alberto Selvestrel è abilissimo nel condurci nel territorio del disorientamento nel quale, una volta introdotti, apprendiamo come ogni fotografia sia attraversata da una delicatissima poesia delle forme, dove la naturale incoerenza del reale è domata dalla sapiente disposizione delle stesse: il paesaggio è volumetrico, cartesianamente coerente e dialoga magnificamente con un minimalismo già completo, a cui non occorre nessun elemento aggiuntivo. I paesaggi di “Link” sono materia compiuta, è metafisica realizzata come un “paesaggio di fondazione”, una specie di cartografia nascosta del reale e in cui i “frammenti”, l’estrapolazione e i dettagli hanno in sé la forza evocativa d’un racconto grandioso, inesplorato e misterioso, laddove per mistero si intende la moltiplicazione del conosciuto. Per Selvestrel la costruzione volumetrica è dunque strumento; di più, esso è un codice nel quale sono contenuti i meccanismi per descrivere il vero, conducendolo felicemente nell’ambito di un affiorante astrattismo chiamato a più decifrare che a nascondere. Tutto è lì, sembra dirci il fotografo, lo è sempre stato ma non lo abbiamo mai scorto; o, meglio, non lo abbiamo mai visto come ora ci invita a fare. E noi, in qualità di osservatori, non possiamo che sorprenderci dinnanzi a tanto composto rigore. “Link” è questo, un gioco di equilibri, di volumi e forme coniugate in una logica che alla poesia ha rubato la metrica. Gli scatti di Alberto Selvestrel sono poesie per gli occhi.

Giuseppe Cicozzetti

da “Link”

foto Alberto Selvestrel

https://albertoselvestrel.com/#book

 

 

If a photographer invites us to observe the things of the world with our own eyes, showing us what we can also see, he will not have done a good job. Reality, once stripped to the surface, lends itself to a multitude of readings, secret, often hidden but that once they are thrown out they unfold obediently, offering themselves to our wonder.

In the delicate passage of the "translation" of the real to an autonomous and alternative form of expression, the photographer is called to become a medium, to carry the burden of transposing signs that are composed in what Mondrian, not mention by chance, he called "the irreducible power of the essential".

The work of the young photographer Alberto Selvestrel, which we can observe in "Link", a very recent photobook, tries to connect the needs of landscape representation - in this case marine - with its translation by looking for, and I would say finding, a summary in the report visual, engaging forcefully in the dialectic of "what we see when we believe see".

The "Link" marines transport us to an imaginative and true world, whose observation calls all of us to rethink the interplay between the real and its perception, and it’s in this differential that in "Link" we see how everything can be declined in a very rigorous language both intimate and intelligible and new.

Alberto Selvestrel is very skilled at leading us into the territory of disorientation in which, once introduced, we learn how each photograph is crossed by a very delicate poetry of forms, where the natural incoherence of the real is tamed by the wise arrangement of the same: the landscape is volumetric, Cartesianally coherent and communicates beautifully with an already complete minimalism, to which no additional element is needed. The "Link" landscapes are accomplished matter, metaphysics is realized as a "foundation landscape", a kind of hidden cartography of the real and in which the "fragments", the extrapolation and the details have in them the evocative strength of a a grandiose, unexplored and mysterious tale, where by mystery we mean the multiplication of the known.

According to Selvestrel, the volumetric construction is therefore an instrument; moreover, it’s a code in which the mechanisms for describing the truth are contained, happily leading it within the framework of an outcropping abstraction called to decipher more than to hide. Everything is there, the photographer seems to say, it has always been but we have never seen it; or rather, we have never seen it as he now invites us to do. And we, as observers, cannot but be surprised by so much rigor. "Link" is this, a game of balances, of volumes and shapes conjugated in a logic that has stolen the metric to poetry. Alberto Selvestrel's shots are poems for the eyes.

Giuseppe Cicozzetti

from “Link”

ph. Alberto Selvestrel

https://albertoselvestrel.com/#book

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