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Lorenzo MELONI (IT)
LORENZO MELONI
2015. La strenue resistenza curda mette fine all’assedio di Kobane. Combattendo lo Stato islamico, i Curdi hanno combattuto una guerra i cui primi beneficiari sono stati i paesi occidentali. I Curdi hanno combattuto per noi, al nostro posto. Sono morti per noi. Non c’è casa, almeno quelle che sono rimaste intatte, che non sia dipinta dal nero colore del lutto. I Curdi hanno sconfitto l’Isis, ma di questa vittoria non avranno vantaggio, né terre su cui vivere in pace e stabilire la loro democrazia. 2019. Le forze di cuscinetto USA, poste a protezione tra il confine turco e siriano, abbandonano i Curdi al loro destino. Il presidente Trump dice di non avere nessun impegno in quell’area e nessuna responsabilità (“I Curdi”, dice sgomentando il mondo “non ci hanno aiutati durante lo sbarco in Normandia”). La regione ora è pronta perché Turchia e Russia possano ridisegnare i confini coloniali franco-britannici. La Turchia, per ordine del presidente Erdogan, lancia una sanguinosa offensiva volta a cancellare definitivamente i Curdi dall’area. E’ ora di pulizia. La comunità mondiale balbetta, non pare in grado di formulare una risposta univoca. L’Europa, ingrata verso chi ha combattuto una guerra estenuante, non è capace di emettere sanzioni contro la Turchia. Se un popolo non ha la sua terra, quel popolo non esiste. Il reportage “Kobane: The Aftermath” del fotoreporter Magnum Lorenzo Meloni è del 2015. Kobane è una città scheletrita come le speranze dei suoi abitanti, ovunque si respira odore di morte e distruzione misto all’entusiasmo per una libertà che in questi giorni torna a essere minacciata. La guerra somiglia sempre a se stessa, il suo carico di morte è sempre uguale e a Kobane si continua a combattere. E a morire. Ci si interroga sempre sull’incidenza di un reportage, su quanto cioè sappia influire sull’opinione pubblica e quanto indignarla a tal punto da smuovere le coscienze. Non facciamoci illusioni, non sarà una fotografia a cambiare il corso degli eventi. Ma un fotografo ha il dovere di continuare a raccontare, è il suo lavoro e noi abbiamo la responsabilità di fornire a noi stessi un punto di vista, un’opinione che sappia schierarci. Kobane è la metafora della distrazione, come lo è stata ogni guerra combattuta lontano dalle nostre case. Le fotografie di Lorenzo Meloni a quattro anni di distanza ci dicono, alla luce degli avvenimenti di questi giorni, che nulla è cambiato: sono uguali i morti, è uguale il sangue versato, è uguale il lutto, è uguale la distruzione. Per un popolo che non può permettersi di perdere, perché coinciderebbe con la sua cancellazione, è solo cambiato il carnefice. A questi non aggiungiamo la nostra indifferenza: distogliendo il volto dall’orrore a modo nostro anche noi siamo carnefici, e il lavoro dei fotoreporter scivolerebbe nell’inutilità.
Giuseppe Cicozzetti
da Kobane: The Aftermath”
foto Lorenzo Meloni
2015. The strenuous Kurdish resistance puts an end to the siege of Kobane. By fighting the Islamic state, the Kurds fought a war whose first beneficiaries were the western countries. The Kurds fought for us, in our place. They died for us. There is no house, at least those that have remained intact, that are not painted by the black color of mourn.
The Kurds have defeated ISIS, but this victory will have no advantage, nor land on which to live in peace and establish their democracy. 2019. US buffer forces, placed as protection between the Turkish and Syrian borders, abandon the Kurds to their fate. President Trump says he has no commitment in that area and no responsibility ("The Kurds," he says, dismaying the world "did not help us during the D-Day").
The region is now ready for Turkey and Russia to redesign the French-British colonial borders. Turkey, by order of President Erdogan, launches a bloody offensive aimed at permanently wiping out the Kurds from the area. It's time for cleaning. The world community stutters, does not seem able to formulate a single answer. Europe, ungrateful to those who fought a grueling war, is unable to issue sanctions against Turkey.
If a people doesn’t have its land, that people doesn’t exist. The reportage "Kobane: The Aftermath" by the photojournalist Magnum Lorenzo Meloni is from 2015. Kobane is a skeletal city like the hopes of its inhabitants, everywhere you can breathe the smell of death and destruction mixed with enthusiasm for a freedom that in these days returns to to be threatened. The war always resembles itself, its death load is always the same and Kobane continues to fight.
And to die. We always wonder about the incidence of a report, about how much it can influence public opinion and how indignant it is to the point of moving consciences. Let’s not delude ourselves, it will not be a photograph that changes the course of events. But a photographer has the duty to keep on telling, it's his job and we have the responsibility to provide ourselves with a point of view, an opinion that knows how to take sides.
Kobane is the metaphor of distraction, as was every war fought away from our homes. The photographs of Lorenzo Meloni four years later tell us, in light of the events of these days, that nothing has changed: the dead are the same, the blood shed is the same, mourning is the same, destruction is the same. For a people that cannot afford to lose, because it would coincide with its cancellation, only the executioner has changed. To these we do not add our indifference: by diverting the face from horror in our own way we are also executioners, and the work of the photojournalists would slip into uselessness.
Giuseppe Cicozzetti
from Kobane: The Aftermath”
ph. Lorenzo Meloni