FOTOTECA SIRACUSANA
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SCRIPTPHOTOGRAPHY
DAVID ALAN HARVEY
Benvenuti in quel che resta del Nuovo Mondo. Vi sono dei progetti che nascono con uno scopo preciso, da una fascinazione che spinge per essere assecondata ma la cui rotta, una volta intrapresa la navigazione, si svincola per suggerire l’urgenza di navigare altri mari, più profondi, più vasti. “Divided Soul” del fotografo americano David Alan Harvey è certamente tra questi, tra i progetti cioè nati per indagare su un fenomeno e scoprire che lo stesso ha articolazioni che non possono essere ignorate e per la cui esplorazione occorre un quarto di secolo. Agli inizi del 1980 Harvey è nella penisola messicana dello Yucatán per scoprire che l’interesse sulla cultura Maya precipita presto per addensarsi attorno a una domanda: “chi erano e chi sono oggi i Maya?” per legare insieme la storia e il destino di vittime e carnefici, di conquistati e conquistatori. Dal Messico la ricerca di Harvey sconfinò naturalmente da Cuba al Guatemala fino ad arrivare in Spagna e Portogallo, da cui tutto ebbe inizio. Popoli latini, anime divise. E due influenze che hanno avvitato la loro cultura in un’unica sincretica distanza. L’anima latina, irrorata da una lingua madre che col tempo ha acconto le influenze profumate di un localismo resistente a ogni tentativo di omologazione, si implementa di contraddizioni che il caldo dei Tropici rende insostenibili e che “Divided Soul” narra nelle asperità più spigolose come nella quotidianità, sia essa compendio dell’attività umana sia nella ritualistica liturgica della santificazione religiosa – campo dove maggiormente è confluita la commistione sinergica, quasi un patto tra l’ufficialità coloniale di un Cristianesimo proselita e la ritualità del tribalismo pre-colombiano. Per le strade del Centro America c’è tutto e il suo contrario, il sontuoso passaggio di un colonialismo che ha voluto celebrare se stesso e un’attualità che di quei fasti tiene ancora conto, e che guarda a Spagna e Portogallo come a due direttrici che ne hanno scosso il destino. Harvey, una volta individuato il fondamento della “divisione”, subito se ne scosta, il suo reportage illustra gli effetti inestirpabili di secoli e dunque, come si conviene a un lavoro giornalistico, il fatto è disgiunto dalle opinioni. Questa, sembra dire il fotografo, è l’America Latina lasciando all’osservatore la libertà di ogni conclusione. Quello che vediamo in “Divided Soul”, nelle sue oltre cento fotografie, è il racconto di una diaspora identitaria catturata nella molteplicità di uno spirito che moltiplica se stesso come estuari di un portato secolare. E tradotto con un linguaggio visivo che ha fatto scuola. Le fotografie di Harvey sono racconti andati in stampa senza revisione, sono volutamente – almeno all’apparenza e noi sappiamo come sia difficile apparire incurantemente spontanei – impressioniste (laddove con questo termine si indica più un’attenzione alla sostanza che non la forma) e dunque capaci di trasportarci in un mondo privo di mediazione nel quale, come prima al fotografo, anche a noi è fornita l’impressione di annusare il l’odore bruciante di un cero come il sudore e la fatica di una palestra di boxe, in nome di un manierismo compositivo che qui, in “Divided Soul” ha poco spazio. Eppure una mediazione esiste, c’è. Eccome. E sta nel colore, ciò che imprime alle fotografie una chiave di lettura che fa del cromatismo una componente incidente. I colori di Harvey sono sapidi, taglienti. La luce ha il ruolo di indagare e dilagare nelle pieghe dei volti, delle attività dell’uomo ripetendo la lezione di una distopia ormai radicata nella coscienza di ognuno quasi che dalle contraddizioni, dai problemi di ogni natura si potesse uscire o entrarvi con un solo passo. Il colore dunque nei lavori di Harvey (si veda ad esempio “Cuba”) si fa metafora, una metafora irrisolta e dunque ancora capace di divincolare i suoi contenuti sul piano delle interpretazioni, senza però scalfire un codice visuale che ha influenzato – e continua a influenzare – ogni fotografo alle prese con l’America Latina.
Giuseppe Cicozzetti
da “Divided Soul”
foto David Alan Harvey
Welcome to what remains of the New World. There are projects that are born with a specific purpose, from a fascination that pushes to be seconded but whose course, once the navigation has been undertaken, frees itself to suggest the urgency of navigating other seas, deeper and wider.
"Divided Soul" by the American photographer David Alan Harvey is certainly among these, as projects born to investigate a phenomenon and discover that the same has articulations that can not be ignored and for which exploration takes a quarter of a century. At the beginning of 1980 Harvey is in the Mexican peninsula of Yucatán to discover that the interest in the Mayan culture plunges early to thicken around a question: "who were they and who are the Mayans today?" to link together the history and destiny of victims and executioners, of conquered and conquerors. From Mexico, Harvey's research naturally flitted from Cuba to Guatemala until it reached Spain and Portugal, from where it all began. Latin peoples, divided souls. And two influences that have turned their culture into a unique syncretic distance.
The Latin soul, sprayed by a mother tongue that over time has touched the scented influences of a localism resistant to any attempt at homologation, is implemented by contradictions that the heat of the Tropics makes unsustainable and that "Divided Soul" narrates in the most angular roughness, as in everyday life, it’s the compendium of human activity and in the liturgical ritual of religious sanctification - a field where the synergistic mixture has merged, almost a pact between the colonial officialism of a proselytised Christianity and the rituality of pre-Columbian tribalism.
On the streets of Central America there is everything and its opposite, the sumptuous passage of a colonialism that has wanted to celebrate itself and an actuality that still takes into account those glories, and which looks to Spain and Portugal as two directions that have shaken their destiny. Harvey, once identified the basis of the "division", immediately diverges from it, his report illustrates the inextinguishable effects of centuries and therefore, as is appropriate for a journalistic work, the fact is separated from opinions.
This, the photographer seems to say, is Latin America, leaving the observer the freedom of every conclusion. What we see in "Divided Soul", in its more than one hundred photographs, is the story of an identity diaspora captured in the multiplicity of a spirit that multiplies itself as estuaries of a centuries-old nourish. And translated with a visual language that made school. Harvey's photographs are stories that went to press without revision, they are deliberately - at least in appearance and we know how difficult it is to appear carelessly spontaneous - impressionist (where this term indicates more attention to the substance than form) and therefore able to transport us to a world without mediation in which, as before the photographer, we are also given the impression of smelling the burning smell of a candle like the sweat and fatigue of a boxing gym, in the name of a compositional mannerism that here, in "Divided Soul" has little space. Yet a mediation exists, there is.
And it is in color, what gives photographs a key to reading that makes chromatism an incident component. Harvey's colors are sapid, sharp. The light has the role of investigating and spreading in the folds of the faces, the activities of man repeating the lesson of a dystopia now rooted in the conscience of everyone almost as if by contradictions, problems of every nature could come out or enter with a single step. So the color in Harvey's works (see for example "Cuba") becomes a metaphor, an unresolved metaphor and therefore still capable of detaching its contents on the level of interpretations, without however scratching a visual code that has influenced - and continues to influence - every photographer struggling with Latin America.
Giuseppe Cicozzetti
da “Divided Soul”
foto David Alan Harvey
https://www.davidalanharvey.com/