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SCRIPTPHOTOGRAPHY

Nan  GOLDIN                                                                                   (USA)

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NAN GOLDIN

Sesso, dipendenza, morte. Attorno a questi tre episodi della vita umana ruota l’intero lavoro di Nan Goldin. Corpi violati, incisi dai segni di un destino nelle cui trame si legge un ineluttabile svolgimento. Traumi. Se è vero, come si sostiene, che il fotografo altro non fa che scattare istantanee di se stesso, allora è altrettanto vero che la propensione di Nan Goldin a ritrarre gli ultimi nasce proprio da un trauma personale: il suicidio della sorella, trauma dal quale non si riebbe più. Una verità nascosta tra le pieghe di una pax familiare, il cui ipocrita silenzio affiora nel suo lavoro come un fiume magmatico per reclamare qualcosa di vicino alla Verità. Ma non c’è elegia nelle sue foto; e nemmeno una vicinanza emotiva: Nan Goldin ritrae il vero, e la verità è un gigante contro cui qualsiasi arma è impotente. C’è coraggio. Tanto. Nan Goldin non omette nulla. Nemmeno su se stessa. La coerenza è pane raffermo, ma è il solo cibo degli onesti. E allora ecco lei stessa entrare nel novero della ritrattistica dolente. Il suo volto è tumefatto dall’inspiegabile violenza del compagno che lei registra e annota senza vergogna, perché si sappia chi è la vittima e chi il carnefice. Vite disperate da svolgersi al chiuso di comunità altrettanto disperate e che dall’esclusione moralista trae quell’energia straziante in cui fondare un’identità e coltivare una sconfortata allegria che agli occhi cela il pianto. Nan Goldin non tralascia nulla delle miserie umane, non la violenza né il disperato commercio di corpi in vendita per pochi dollari. Ma ancor meno lascia che sgomiti il pudore di una vita al limite dello spegnimento e dunque ecco le immagini di un giovane martoriato dalla “grande malattia dal piccolo nome”, l’Hiv. Sono immagini strazianti, grondanti di pietà e commozione; e di fronte al dramma di un uomo nessuno può dirsi salvo. Osservando le fotografie di Nan Goldin non sorge nessun desiderio di giudizio, non c’è distanza né è cercata. C’è un mondo umano variegato e affranto – spesso punito dalle stesse disordinate propagazioni – ma non esiste sentimento che non ci avvicini ai soggetti. Nelle immagini più tenere, nelle quali l’amore per manifestare se stesso non tiene conto della diversa sessualità, si apre una finestra da cui fa ingresso una nuova consapevolezza, una maturità di pensiero sempre tenuto a freno da imposizioni e codici di una morale divenuta stantia come gli stessi sostenitori. Poi c’è l’ampio registro della solitudine, dell’urlante silenzio di uomini e donne che non si comprendono più e i cui gesti ormai sono privi di qualunque grazia, sfrangiati da una routine a cui sembra difficile porre fine. Nan Goldin è donna e fotografa coraggiosa e onesta, il suo lavoro è sofferto e necessario, utile. E queste caratteristiche sono merce rarissima. 
Ovunque si guardi.

Giuseppe Cicozzetti

 

foto di Nan Goldin

 

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