FOTOTECA SIRACUSANA
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SCRIPTPHOTOGRAPHY
Richard KALVAR (USA)
RICHARD KALVAR
La quotidianità talvolta deroga dalla sua ordinarietà e si concede attimi di distrazione. L’ironia del gesto è accarezzata dall’inconsueto quando non dal grottesco: la vita, quando dimentica le abitudini, sa essere uno spettacolo in cui l’uomo è attore involontario. E meno male. Richard Kalvar è con certezza un fotografo che ha cercato (e trovato) il lato buffo dei protagonisti della street photography, quella massa indistinta momentaneamente ingabbiata nel daffare quotidiano e tradotta in un epos che rivaluta la normalità; ma la “normalità” prevede la presenza di momentanee quanto involontarie gag, che in fondo rappresentano l’aspetto più naturale di ognuno. La vita per Kalvar è un teatro, e tutti sono potenzialmente attori in una messinscena senza prove generali: si recita a soggetto e la scena è attraversata da una tensione grottesca. “Era’ tutto lì, pronto” ha detto il fotografo “a me non restava che cogliere il momento”. Naturalmente occorre saper leggere il momento; inquadrarlo e scattare sono suggestioni postume, prima bisogna farsi catturare dal momento, occorre “esserci”. E Kalvar c’è. E dove non c’è vi arriva con l’invenzione: basta un leggero spostamento dell’obiettivo e gli elementi che concorrono alla creazione di una scena dialogano come per incanto nella commedia della vita.
Basta “mettere le cose insieme”. Non è facile ma è possibile, basta possedere uno sguardo divertito e leggere nello spartito della vita quelle note apparentemente dissonanti, ma che dalla cui miscela apprendiamo come l’intera sinfonia si alleggerisce dal peso di una quotidianità spesso coperta dalle abitudini.
Un cane esausto è certamente un’immagine insolita, che frammenta tenerezza a ironia non meno di due busti marmorei (che mai avranno da dirsi?) che si fronteggiano nell’immobile fissità dell’eterno. Una donna osserva una vetrina. Noi non vediamo che il riflesso ma nel riflesso vediamo il suo doppio, e la restituzione è una donna che osserva se stessa.
Obliquità. Pochi centimetri più in là o qua e tutto crolla, non funziona: un uomo sulla sedia è tradito dalla sua postura rilassata. La coincidenza con un potente getto d’acqua ci fa subito pensare a un bisogno corporale da svolgersi sotto lo sguardo di quella che presumiamo essere la moglie. Ma anche prospettive: una signora mangia un gelato indisturbata dalla presenza di una gamba umana che un gioco prospettico rende simile a un gigante. O stranezze: che mai ci farà un uomo nudo su un ponte? E uomini perduti tra cespugli e panchine? Non sappiamo. Possiamo desumere, ma non sappiamo: alla fotografia spetta mostrare non dimostrare.
Ironia, si diceva. Ma anche stile. Immancabile. E percepibile in ogni inquadratura, le cui composizioni – mai troppo forzate da disvelare un volontario allestimento – rivelano una sicura eleganza di linguaggio, una grammatica guidata da un sarcasmo sottile e allusivo. Si osservi a questo proposito l’anziana coppia che si bacia teneramente cui fa da contraltare un manifesto pubblicitario che evoca passioni ormai consumate.
Richard Kalvar è un grande interprete della vita. Di più: è un suo traduttore. E la luce con cui scrive è intinta nei toni di una soave e rispettosa leggerezza, la stessa felice intuizione che attraversa e rinfresca la fotografia, da René Maltête a Nick Turpin.
Giuseppe Cicozzetti
foto Richard Kalvar
Everyday life sometimes derogates from its ordinariness and grants moments of distraction. The irony of the gesture is caressed by the unconscious when not by the grotesque: life, when it forgets habits, can be a show in which man is an involuntary actor. Thank god!
Richard Kalvar is certainly a photographer who has searched (and found) the funny side of the protagonists of street photography, that indistinct mass momentarily caged in daily affairs and translated into an epos that re-evaluates normality; but the "normality" foresees the presence of momentary as well as involuntary gags, which at the end represent the most natural aspect of each one.
Life for Kalvar is a theater, and all are potentially actors in a staging without general rehearsals: one recites a subject and the scene is crossed by grotesque tension. "It was all there, ready" the photographer said "I had nothing left to do but seize the moment".
Naturally, it is necessary to know how to read the moment; framing and shooting are posthumous suggestions, first you have to be captured by the moment, you need to "be there". And Kalvar is there. And where there is no one arrives with the invention: just a slight shift of the lens and the elements that contribute to the creation of a scene converse as if by magic in the comedy of life.
Just "put things together". It ain’t easy but it’s possible, just have a look amused and read in the music of those seemingly dissonant notes, but from which we learn how the whole symphony is lightened by the weight of everyday life often buried by habits.
An exhausted dog is certainly an unusual image, fragmenting tenderness to irony no less than two marble busts (which will never have to be said?) Facing each other in the immobile fixity of the eternal. A woman looks at a shop window. We do not see the reflection but in the reflection we see its double, and the restitution is a woman who observes herself.
Slant. A few centimeters away or here and everything collapses, it doesn’t work: a man in the chair is betrayed by his relaxed posture. The coincidence with a powerful jet of water makes us immediately think of a bodily need to be carried out under the gaze of what we presume to be is wife.
But also perspectives: a lady eats an ice cream undisturbed by the presence of a human leg that a perspective game makes similar to a giant. Or oddities: what will a naked man do on a bridge? And lost men among bushes and benches? We do not know. We can deduce, but we do not know: photography wants show not prove.
Irony, it was said. But also style. Inevitable. It’s perceptible in every frame, whose compositions - never too forced to reveal a voluntary exhibition - reveal a certain elegance of language, a grammar guided by a subtle and allusive sarcasm. In this regard, observe the old couple who tenderly kisses, which is a counter to an advertising manifesto that evokes now consumed passions.
Richard Kalvar is a great interpreter of life. More: it’s its translator. And the light with which he writes is intact in the tones of a gentle and respectful lightness, the same happy intuition that runs through photography from René Maltête to Nick Turpin.
Giuseppe Cicozzetti
ph. Richard Kalvar