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SCRIPTPHOTOGRAPHY

Oleg VIDENIN                                                                        (Russia) 

Oleg+Videnin+-+Carp.+Bryansk+region.2011

OLEG VIDENIN

“Portraits”, ritratti. Semplicemente. Ma noi sappiamo che è nella ricerca della semplicità che si nasconde lo sforzo più duro, una complessità d’intenti da restituire in una forma scarnificata dal ridondante. Cogliamo nelle fotografie del russo Oleg Videnin l’entusiasmo visivo e la freschezza della grande tradizione fotografica francese, prima, e poi i segni della sua trasmigrazione americana. Dentro i ritratti di Videnin c’è tutto. C’è ad esempio il desiderio di raccontare un Paese attraverso i volti, le espressioni colti al loro sorgere da cui ci lasciamo contagiare d’entusiasmo. Il volto ha in sé un racconto, ci hanno insegnato i grandi ritrattisti fotografici che proprio attraverso il ritratto hanno narrato lo stato, spesso i malesseri d’una società meglio di un trattato di sociologia. Si pensi a Avedon, a Frank e, forse più segnatamente, considerata la mancanza d’orpelli, a Sanders. In Videnin cogliamo lo stesso stringente racconto, l’urgenza di raccontare storie che non possono essere mediate da nessuna interlocuzione: nella genuinità di uno scatto, nella sua freschezza si coglie meglio l’autenticità. I personaggi di Videnin sono giovani, spesso giovanissimi. Non è un caso. Nella giovanile freschezza di ognuno degli sguardi, l’occhio si compiace nell’intravvedere una generazione ancora alle prese con il gioco, con le scoperte di cui solo l’adolescenza è colma ma che immaginiamo, al contempo, giovani cui augurare un futuro prospero, sereno e in cui il disagio di una società che ha cambiato pelle troppo rapidamente sia per sempre risolto. Gli adolescenti di Videnin hanno una compostezza rigidissima, compresi quelli sorpresi a rispondere alla scioltezza informale e irridente tipica dell’età. Scene quotidiane, svuotate dall’epica del raggiungimento stilistico cui spesso è affidato un addendo narrativo. Qui, nelle fotografie di Videnin, vediamo scene di vita ripetibili, come un racconto che si rinnova giorno dopo giorno e che, secondo qualcuno, conserverebbe qualcosa impossibile da narrare, come se il mondo, proprio per essere raccontato, dovesse essere popolato da un epos incombente da catturare al momento. La vita non ha angoli oscuri: non cela né nasconde, non si ritrae ma al contrario lascia che la sua voce si sparga ovunque. A un fotografo non spetta che ascoltarla e tradurla in immagini. Oleg Videnin lo ha fatto, riuscendovi.

 

Giuseppe Cicozzetti

da “Portraits”

 

foto Oleg Videnin 

 

https://olegvidenin.com

 

 

"Portraits". Simply. But we know that it is in the search for simplicity that the hardest effort is hidden, a complexity of intentions to be returned in a form stripped of redundancy. In the photographs of the Russian Oleg Videnin we see the visual enthusiasm and freshness of the great French photographic tradition, first, and then the signs of his American transmigration. Everything is in Videnin's portraits.

There is, for example, the desire to tell a country through faces, expressions caught at their birth from which we let ourselves be infected by enthusiasm. The face has a story in itself, we were taught by the great photographic portraitists who, through the portrait, narrated the state, often the ills of a society better than a sociology treatise.

Think of Avedon, Frank and, perhaps more specifically, given the lack of skies, to Sanders. In Videnin we grasp the same stringent story, the urgency to tell stories that cannot be mediated by any interlocution: in the genuineness of a shot, in its freshness the authenticity is better captured. The characters of Videnin are young, often very young. It's not a casuality.

In the youthful freshness of each of the looks, the eye welcomes in glimpsing a generation still struggling with the game, with the discoveries of which only adolescence is full but which we imagine, at the same time, young people to whom we wish a prosperous future, serene and in which the discomfort of a society that has changed skin too quickly is forever solved.

The adolescents of Videnin have a very rigid composure, including those surprised to respond to the informal and mocking fluency typical of age. Daily scenes, emptied of the epic of stylistic achievement which is often given a narrative addend.

Here, in Videnin's photographs, we see repeatable scenes of life, like a story that is renewed day after day and that, according to someone, would preserve something impossible to narrate, as if the world, just to be told, should be populated by an epos looming to be captured at the moment. Life has no dark corners: it does not hide or hide, it does not retract but on the contrary it lets its voice spread everywhere. It is up to a photographer to listen to it and translate it into images. Oleg Videnin did it, succeeding.

 

Giuseppe Cicozzetti

from “Portraits”

 

ph. Oleg Videnin 

 

https://olegvidenin.com

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