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SCRIPTPHOTOGRAPHY

Paolo VENTURA              (IT)

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PAOLO VENTURA

E’ accaduto a tutti noi di chiederci se la realtà esista davvero, se esista cioè una natura delle cose obiettiva e intatta oppure se tutto ciò che accade è modificato in anticipo dalla nostra immaginazione. Chi può dire se la realtà è una semplice illusione che vive nella mente umana oppure è qualcosa cui diamo vita sognando. Noi sappiamo però che tutto ciò che è possibile immaginare assume le forme del reale.
La fotografia si è confrontata con questi temi poco dopo la sua invenzione, da quando cioè ha tentato sempre più di smarcarsi come disciplina capace solo di “riprendere” il vero, quanto cioè giace di fronte l’obiettivo, per ribaltare il concetto stesso di univocità del reale per farsi essa stessa “generatrice di realtà”. La questione è apertissima ma nella sua evoluzione, lungo il dibattito tra chi le immagini le cattura e chi invece le costruisce, abbiamo numerosi esempi di come questo genere di fotografia sia sempre più frequentata.
E’ la “set photography”, di cui Paolo Ventura, artigiano di sogni, è con sicurezza uno dei più grandi esponenti. La sua è una fotografia sognante, colma di ricordi e pervasa da una bellissima poesia della memoria. E tutto in un diorama, costruito con una doviziosa attenzione ai dettagli. Se Richard Tuschman ha riprodotto le algide atmosfere hopperiane per trasferirci il medesimo senso di freddo smarrimento delle opere del pittore e Lori Nix – sempre attraverso i diorama – ci ha raccontato cosa resterebbe di una città dopo la scomparsa dell’uomo, Paolo Ventura celebra i giorni dell’uomo, la sua storia in uno spazio ora definito, e reso riconoscibile dalla sua ambientazione, ora sospeso tra il sognante e l’irreale.
In “Winter Stories” (2007/2009) scorgiamo la riproduzione di una comunità nella coagulante manifestazione di una festa di strapaese. Personaggi che nella loro improbabilità superano il valico della credibilità e si attestano in una dimensione leggera, irreale, in cui giocolieri e clown animano il susseguirsi di scene che hanno il potere di rimettere indietro le lancette del nostro tempo. E dove anche la morte di un clown ha il sapore della morte di tutti noi. 
Il tema della nostalgia e della memoria come sentimento ritornano con “The Automaton”, una serie del 2010. Qui una Venezia appena offuscata dalla nebbia rimanda a suggestioni intime, recuperate e tradotte perché non si disperda la memoria di un tempo. Quello che siamo, sembra dirci Ventura, è quello che siamo stati e ricordarlo a noi stessi è un modo – forse il più efficace – di conservare l’identità. E quell’uomo sopra i tetti di Venezia sembra volercelo ricordare. 
Le atmosfere si diradano, le descrizioni del paesaggio urbano si fanno essenziali e minimalista che sembrano essere prese in prestito dalle suggestioni periferiche di Sironi. E’ quanto ammiriamo nella serie “Lo Zuavo Scomparso” (2012). Qui i personaggi, stavolta in carne ed ossa, interagiscono silenziosamente con un “intorno” dal sapore straniante. L’aria è ferma, c’è un clima in costante equilibrio tra il disincanto e la speranza; le prospettive si piegano al racconto e sebbene non sappiamo nulla dei protagonisti è nella loro staticità che germoglia un’empatia. E’ nella loro fredda e poco interattiva postura che li vediamo come elementi invischiati dentro relazioni “collose” che impediscono loro ogni azione. 
Nella serie “War Souvenir” (2015) intercettiamo l’urgenza di sviluppare su carta ricordi familiari da chi della Seconda Guerra Mondiale ha ancora un vivido drammatico ricordo. I soggetti – come vedete, dei pupazzetti – e un’ambientazione accuratissima, sono chiamati alla restituzione di un clima in bilico tra la tragedia, la sua efferatezza e una vita che nonostante tutto procede seppure attraversata dall’incertezza. Le immagini sono forti e dolenti allo stesso tempo.
Ma intanto, come a esplorare nuove vie, il “fermo” delle immagini sembrerebbe non più funzionale al racconto, cui è necessario aggiungere dinamicità. Ecco dunque che le serie “The Vanishing Man” (2014) e “Homage a Saul Steinberg” (anch’essa del 2014) facente parti del più articolato capitolo “Short Stories”, si animano. La narrativa ha bisogno di articolarsi e dunque prende forma di fotoracconto, quasi un micro cortometraggio. Poche immagini, a volte un trittico, ma che da sole si sviluppano in un inizio e una fine. Nell’Homage al geniale disegnatore c’è però come una grande metafora. Nella prima fotografia un bambino indossa una divisa militaresca ed è accanto a un uomo adulto. Nella seconda l’uomo, pur conservando i tratti, “rimpicciolisce” e ripara dietro un pannello su cui sono dipinti i vestiti. Nella terza il bambino e l’adulto/bambino si tengono per mano: sono uguali, sono tra pari. C’è stato un trasferimento d’esperienze: l’artista che per essere tale deve vedere con gli occhi di un bambino e quest’ultimo che, probabilmente, è pronto ad assumere il testimone.
Se poetica si è rivelata la metafora di “Homage a Saul Steinberg”, più crudele e commovente è quella che si articola lungo “The Vanishing Man”. Tre sole fotografie che, nella loro stretta sinteticità, esprimono per intero la tristissima pagina delle leggi razziali prima e poi la successiva tragedia della Shoah.
Paolo Ventura è un uomo del suo tempo, e il suo tempo è il nostro. I suoi “teatri di carta” sono palcoscenici nei quali i suoi personaggi sviluppano allegorie, temi romantici che hanno al fondo una concretezza poetica. I temi sono sempre costruiti senza mai derogare dall’aspetto principale: leggerezza. Nulla mai può esser detto di più vero se non nella finzione. E di questa finzione che sa di vero noi tutti abbiamo un disperato bisogno.

 

Giuseppe Cicozzetti
da “Winter Stories”; “The Automaton”; “Lo Zuavo Scomparso”; “War Souvenir”; “The Vanishing Man”; “Homage a Saul Steinberg”;

 

foto Paolo Ventura

http://paoloventura.com/

It has happened to us all to wonder if reality really exists, if there is an objective and intact things nature, or if everything that happens is changed in advance by our imagination.
Who can tell if reality is a simple illusion that lives in the human mind or is something we dream of living. We know, however, that everything that can be imagined takes on the forms of reality.
Photography has been confronted with these themes shortly after its invention, since it has increasingly tried to disentangle itself as a discipline capable of "resuming" the true, as it lies in the face of the goal, to overturn the very concept of univocity of the real to become itself "generator of reality".
The issue is very open but in its evolution, along the debate between those who capture the images and builds them, we have numerous examples of how this kind of photography is getting more and more popular.
It is the "set photography", of which Paolo Ventura, a craftsman of dreams, is for sure one of the greatest exponents. His is a dreamy photograph, filled with memories and pervaded by a beautiful poem of memory.
And all in a diorama, built with a careful attention to detail. If Richard Tuschman reproduced the algid hopperian atmospheres to move the same sense of cold-tempering to the painter's work and Lori Nix - always through the diorama - told us what a city would have left after the death of man Paolo Ventura celebrates the days of man, his story in a space now defined, and made recognizable by his setting, now suspended between the dreamy and the unreal.
In "Winter Stories" (2007/2009) we see the reproduction of a community in the coagulant manifestation of a “strapaese” party. Characters who, in their improbability, surpass the credibility range and stand in a light, unreal dimension where jugglers and clowns animate the succession of scenes that have the power to put back the hands of our time. And where even the death of a clown has the taste of the death of all of us.
The theme of nostalgia and memory as a feeling return with "The Automaton", a 2010 series. Here a newly fogged Venice sparked intimate suggestions, retrieved and translated because it does not disperse the memory of a time. What we are, Ventura seems to say, is what we have been and remembering it to ourselves is a way - perhaps the most effective - to preserve the identity. And that man above the roofs of Venice seems to want to remember.
Atmospheres shrink, descriptions of the urban landscape become essential and minimalist that seem to be borrowed from the peripheral suggestions of Sironi. That's what we admire in the series "Lo Zuavo Scomparso" (2012). Here the characters, this time in flesh and bones, interact silently with a "round" of strange flavor. The air is firm, there is a constant balance between disillusionment and hope; the prospects bend to the story and although we do not know anything about the protagonists is in their staticity that sprout empathy. It's in their cool and unattractive posture that we see as elements clenched in "collided" relationships that prevent them from taking any action.
In the "War Souvenir" (2015) series, we intercept the urgent need to develop memories of family remembrances from those of World War II who still have a vivid dramatic memory. The subjects - as you see, of puppets - and a very careful setting, are called upon to restore a climactic balance between tragedy, its frustration and a life that despite all goes on, albeit crossed by uncertainty. The images are strong and painful at the same time.
Meanwhile, as exploring new ways, the "hold" of images would seem no longer functional to the story, which is to add dynamism. That is why the series "The Vanishing Man" (2014) and "Homage to Saul Steinberg" (also of 2014) are part of the more articulated chapter "Short Stories". The narrative needs to articulate and thus takes the form of photographic, almost a micro short film. Few images, sometimes a triptych, but which alone develop into a beginning and an end.
In Homage to the ingenious designer, however, is a great metaphor. In the first photograph a child wears a militia uniform and is next to an adult man. In the second man, while maintaining the traits, "shrink" and repairs behind a panel on which his clothes are painted. In the third the child and the adult / child are held by hand: they are the same, they are equal. There has been a transfer of experiences: the artist who, for that reason, must see with the eyes of a child and the latter who is probably ready to take the witness.
If poetry turned out to be the metaphor of "Homage to Saul Steinberg," the most cruel and moving is the one that articulates along "The Vanishing Man." Three photographs alone, which in their narrow synthetics, express entirely the very sad page of racial laws before and then the subsequent tragedy of the Shoah.
Paolo Ventura is a man of his time, and his time is ours. His "paper theaters" are stages in which his characters develop allegories, romantic themes that have a poetic concreteness at the bottom. The themes are always built without ever departing from the main aspect: lightness. Nothing can ever be said to be true except in fiction. And of this fiction that knows we really all have a desperate need.

 

Giuseppe Cicozzetti
from “Winter Stories”; “The Automaton”; “Lo Zuavo Scomparso”; “War Souvenir”; “The Vanishing Man”; “Homage a Saul Steinberg”.

 

ph. Paolo Ventura

http://paoloventura.com/

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