FOTOTECA SIRACUSANA
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SCRIPTPHOTOGRAPHY
Pietro SORANO (IT)
PIETRO SORANO
L’uomo ha un timore istintivo e ancestrale di tutto ciò di cui non ha esperienza. L’esperienza della morte, tra queste, è la più lacerante, la più incomprensibile: la morte è un enigma inciso a fuoco nella carne della vita, un patto siglato al momento della nascita: tutto nasce, germoglia e inevitabilmente muore. Come affrontare la morte è dunque uno dei più grandi e insoluti problemi dell’essere umano tanto da attraversare la sensibilità dei non credenti (come affrontare il Nulla che ci attende?) come quella di chi ha fede, ma che nella certezza di una vita oltre la morte cercano sì di raggiungerla, però il più tardi possibile. Agostino ci ha esortato a «integrare la morte nella nostra visione», invitandoci a un rovesciamento prospettico che toglie ogni cupezza e temibilità al mistero dei misteri, alla «crisi nell’opera di Dio», per citare Schopenhauer, facendo traboccare di vita le grandi questioni religiose, metafisiche e morali. Il tema è complesso e intrecciato di valutazioni morali ed etiche in grado di addensarsi attorno a un dubbio sconvolgente e grandioso: se tutto è destinato a finire qual è il senso della nostra vita? È semplicemente un dato numero di giorni? È un infinito, seppur computabile, numero di respiri? La fotografia, così come si sostiene, è assai imparentata con la morte quasi ontologicamente. Ogni scatto infatti, così come una vita che viene a mancare, ci dice non solo “ciò che è stato” ma, e soprattutto “ciò che non sarà più”. Ed è proprio causa di questa “parentela” che molti fotografi hanno lungamente esplorato l’episodio della morte. A questo appuntamento, che appare nella vita creativa di un artista come un caposaldo con cui misurarsi per comprenderne la portata, non si è sottratto il fotografo Pietro Sorano. La sua serie, “I Think I’m Dead” affronta proprio la frazione più drammatica, il momento cioè in cui ogni cosa termina. Sono convinto che uno dei passaggi più struggenti che abbia saputo descrivere con efficace poetica “quell’attimo fatale in cui ognun di noi dilegua” (Leopardi) si trovi tra le pagine dell’Odissea, quando uno sgomento Ulisse incontra nell’Ade lo spirito della madre: «Si muta in questa forma, quando muore, l’uomo mortale; i tendini disfatti non congiungono più le carni e le ossa, tutto divora l’impetuosa furia del fuoco ardente, appena esce la vita dalle ossa bianche; vola via per l’aria l’anima, e si dilegua come un sogno» (Od., XII, 275-280). Come un sogno, di sicuro il momento dell’essere umano più vicino alla morte. Pietro Sorano intende procedere per metafore, quasi che la cifra della trasposizione simbolica gli consentisse di muoversi con più agilità tra quell’insieme di profonde suggestioni che abitano il dubbio. Il registro scelto è quello dell’allusione, del suggerimento e dell’interpretazione quale chiave di un racconto dolente e drammatico. Visioni, dettagli d’oggetti, frammenti di memoria, cieli mistici si rincorrono per comporre il senso di una vita che sta per scomparire nel buio più fitto, nel Nulla che sgomenta e agghiaccia. Ma su tutto aleggia il senso dell’assenza, perché questo è il dono amaro della morte, invitarci a comprendere il senso dell’assenza eterna, il “mai più”. E questo “mai più”, che annoda le file della serie, è ben restituito da una fotografia: una camicia bianca, appesa a una gruccia nel folto di uno scuro volumetrico ed estraniante. Se la osservate come merita vedrete un indumento chiamato ad assumere vita e corpo se indossata ma che invece, una volta “svuotata”, ci restituisce plasticamente i termini esatti di quella “vita che vola via per l’anima, e si dilegua come un sogno”. “I Think I’m Dead” commuove. Pietro Sorano ha saputo tenersi distante dalle trappole di una retorica sempre troppo in agguato e ci consegna un progetto delicato, intimo nel silenzio di un dramma. Non è facile tenere la giusta distanza emotiva, occorre freddezza e rispetto, e lampi d’accecante sensibilità. A noi non resta che il tempo della memoria, mentre una lacrima sgorga al ricordo degli affetti che abbiamo smarrito.
Giuseppe Cicozzetti
da “I Think I’m Dead”
foto Pietro Sorano
Man has an instinctive and ancestral fear of everything he has no experience. The experience of death, among these, is the most lacerating, the most incomprehensible: death is an enigma incised on the flesh of life, a pact signed at the moment of birth: everything is born, sprouts and inevitably dies.
How to face death is therefore one of the greatest and unsolved problems of the human being so much to feed the sensibility of non-believers (how to face the Nothing that awaits us?) Like that of those who have faith, but who in the certainty of a life beyond death try to reach it, but as late as possible.
Augustine urged us to "integrate death into our vision", inviting us to a prospective reversal that takes away all the gloom and fearfulness to the mystery of the mysteries, to the "crisis in the work of God", to quote Schopenhauer, making the great religious, metaphysical and moral questions ovewflow of life.
Theme is complex and intertwined with moral and ethical assessments able to gather around a shocking and grandiose doubt: if everything is destined to end what is the meaning of our life? Is it simply a given number of days? Is it an infinite, albeit computable, number of breaths? Photography, as it is claimed, is very related to death almost ontologically.
Every shot in fact, as well as a life that is missing, tells us not only "what has been" but, above all "what will no longer be". And it is precisely because of this "kinship" that many photographers have long explored the episode of death. The photographer Pietro Sorano has not escaped this appointment, which appears in the creative life of an artist as a milestone with which to measure himself to understand his scope.
His series, "I Think I'm Dead" faces the most dramatic fraction, the moment when everything ends. I am convinced that one of the most poignant passages that has been able to describe with poetic effect "that fatal moment in which each of us dispels" (Leopardi) is found among the pages of the Odyssey, when a dismay Ulysses meets the spirit of his mother: «The mortal man changes into this form when he dies; the undone tendons no longer join the flesh and the bones, everything devours the impetuous fury of the burning fire, as soon as life comes out of the white bones; the soul flies in the air, and vanishes like a dream» (Od., XII, 275-280).
Like a dream, certainly the moment of the human being closer to death. Pietro Sorano intends to proceed by metaphors, almost as if the figure of the symbolic transposition allowed him to move with more agility between that set of deep suggestions that inhabit the doubt. The register chosen is that of allusion, suggestion and interpretation as the key to a painful and dramatic story. Visions, details of objects, fragments of memory, mystical skies chase each other to compose the meaning of a life that is about to disappear in the thickest darkness, in the Nothing that is dismayed and froze out.
But above all there is a sense of absence, because this is the bitter gift of death, inviting us to understand the meaning of eternal absence, the "never again". And this "never again", which ties the rows of the series, is well returned by a photograph: a white shirt, hanging on a hanger in the thick of a volumetric and alienating dark. If you look at it as it deserves you will see a garment called to take on life and body if worn but instead, once "emptied", it returns to us plastically the exact terms of that "life comes out the white bones, and vanishes like a dream".
"I Think I'm Dead" moves. Pietro Sorano has been able to keep away from the traps of a rhetoric that is always too lurking and gives us a delicate, intimate project in the silence of a drama. It is not easy to keep the right emotional distance, coldness and respect are needed, and flashes of blinding sensitivity. All that remains for us is the time of memory, while a tear flows from the memory of the beloved ones we have lost.
Giuseppe Cicozzetti
from “I Think I’m Dead”
ph. Pietro Sorano