FOTOTECA SIRACUSANA
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SCRIPTPHOTOGRAPHY
Sandy SKOGLUND (Svezia)
SANDY SKOGLUND
Ci si chiede talvolta se quanto vediamo, quanto cioè espresso dall’oggettività del reale, ciò che chiamiamo visibile, sia reale esso stesso, oppure se ciò che ci circonda non sia che una proiezione in anticipo sulla nostra immaginazione. Non sappiamo. Piace credere però – e questo lo dobbiamo agli artisti – che la realtà, così come si offre a noi, spesso è manchevole di qualcosa di cui presto sentiamo il bisogno di aggiungere; e non per modificarne il senso ma per completarlo. A colpi di fantasia. La finzione come medium per raggiungere il vero. La fotografa americana Sandy Skoglund si aggira da diversi decenni nel territorio del surreale. La sua “staged photography” ingaggia una sfida nella quale l’osservatore è invitato a fare ingresso in un mondo fantastico, talvolta perturbante in cui incantamento e inquietudine si avvicendano. E insieme ci pongono domande dalla difficile risposta. Come in una sciarada siamo chiamati a risolvere enigmi così osservando il lavoro di Sandy Skoglund siamo proiettati in una struttura così complessa e articolata di “segni” che proporre una soluzione univoca, quando non direttamente proveniente dalle stesse foto, ci appare un azzardo. Un mondo parallelo e vivo è alla base del tableaux dove la finzione si svincola dall’artificialità per gareggiare – e vincere – sulla realtà. Ma con qualche domanda disturbante: cosa c’è alla base delle rivendicazioni dei pesci rossi tanto da progettare una rivincita? E a quale gioco stanno giocando delle volpi fosforescenti? E ancora, qual è il ruolo nella vita di due anziani signori di un nugolo di gatti luminescenti? Risposte difficili. Molti, nel caso di “La rivincita di pesci rossi”, hanno imbastito interpretazioni poi confutate dalla stessa Skoglund che, a noi, appare più come una produttrice di set, di ambienti determinati più alla creazione di equilibri compositivi che a costruzioni di tipo psicanalitico. Così apprendiamo che il mondo fotografico di Skoglund è malleabile, conformabile al proprio desiderio di vedere quanto non c’è, immaginarlo e allestirlo. Così come Crewdson, così come Wall, così come Tuschman, così come Fang Tong e, soprattutto – noi la vediamo più imparentata – come Ventura Sandy Skoglund imbastisce storie oniriche e delicate, evocative e sorprendenti. Ma il suo stile si avvinghia saldamente alle radici del pop: i colori sono elettrici, spesso monocromatici, psichedelici, acidi; gli oggetti (gli animali, di resina o terracotta, sono una sua creazione) sono materia che si presta per spiazzarci e condurci nella dimensione del sognante. I suoi tableaux sono sorprendenti di vita, di una corrente che agita e stimola quello che una buona fotografia è chiamata a fare, incatenarci cioè all’osservazione quasi estatica dell’immagine. Sorpresa che aumenta quando apprendiamo che per “costruire” le sue fotografie Skoglund non utilizza Photoshop: tutto è lì, presente e attivo, nei set elaboratissimi e minuziosi, irreali eppure più veri del vero.
Giuseppe Cicozzetti
foto Sandy Skoglund
We sometimes ask ourselves whether what we see, that is, expressed by the objectivity of reality, what we call visible, be real itself, or if what surrounds us is only a projection in advance of our imagination. We don’t know.
But we like to believe - and this we owe to the artists - that reality, as it is offered to us, is often lacking in something we soon feel the need to add; and not to change its meaning but to complete it. With fantasy strokes. Fiction as a medium to reach the truth. The American photographer Sandy Skoglund has been around for several decades in the territory of the surreal.
Her "staged photography" engages a challenge in which the observer is invited to enter a fantastic, sometimes perturbing world in which enchantment and restlessness alternate. And together they ask us questions with a difficult answer. As in a charade we are called to solve riddles so observing the work of Sandy Skoglund we are projected into a structure so complex and articulated of "signs" that propose a unique solution, when not directly coming from the same photos, there appears a hazard.
A parallel and living world is at the base of the tableaux where fiction frees itself from artificiality to compete - and win - over reality. But with some disturbing question: what is behind the claims of the goldfish to design a revenge? And what game are phosphorescent foxes playing? And again, what is the role in the lives of two elderly gentlemen of a cloud of luminescent cats? Difficult answers.
Many, in the case of "The revenge of goldfish", have set up interpretations then disproved by the same Skoglund that, to us, appears more like a producer of sets, environments determined more to the creation of compositional balances than to constructions of psychoanalytic type.
So we learn that the photographic world of Skoglund is malleable, conformable to their desire to see what is not there, imagine and set it up. As well as Crewdson, as well as Wall, as well as Tuschman, as well as Fang Tong and, above all - we see her more related - as Ventura Sandy Skoglund sets up dreamy, delicate, evocative and surprising stories. But his style tightly clings to the roots of pop: the colors are electric, often monochromatic, psychedelic, acid; objects (animals, made of resin or terracotta, are his creations) are materials that lend themselves to displace us and lead us into the dreamy dimension.
Her tableaux are surprising of life, of a current that agitates and stimulates what a good photograph is called to do, that is to chain ourselves to the almost ecstatic observation of the image. Surprise that increases when we learn that to "build" his photographs Skoglund doesn’t use Photoshop: everything is there, present and active, in elaborate and meticulous sets, unreal and yet more true than true.
Giuseppe Cicozzetti
ph. Sandy Skoglund