FOTOTECA SIRACUSANA
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Marco SCONOCCHIA (IT)
MARCO SCONOCCHIA
Non così buio da tingere ogni cosa di nero, non così chiaro da illuminare. E’ quel tempo breve e malinconico che si chiama crepuscolo, un tempo di raccoglimento, un tempo pensoso. Più tardi, poco più tardi, la luce esalerà il suo ultimo raggio e aprirà il varco alla notte. La città ha un respiro che somiglia a quello dei suoi abitanti, un respiro fatto di tempi che ne regolano l’attività. E la presenza sulle sue strade. Il fotografo Marco Sconocchia, residente a Londra, racconta la notte della metropoli britannica. Notti livide e oscure che raccontano la molteplicità delle diverse attitudini dell’uomo. Qui, nelle fotografie di Sconocchia, siamo invitati ad assistere al sovrapporsi di una geografia umana che con la complicità dell’oscurità si riappropria degli spazi lasciati liberi, preclusi nelle ore diurne. Ecco dunque che assistiamo a due flussi, due diversi “movimenti” nel momento della loro mutazione. C’è chi si appresta a fare ritorno a casa, verso l’intimità domestica interrotta dalle diverse occupazioni e chi invece si riappropria di un’identità “oscurata” nelle ore diurne. Le immagini della Londra di Sconocchia registrano il tempo di questa crisi; una crisi quotidiana ben sviluppata nelle immagini che rimandano a una frenesia che pare volersi risolvere in breve e che pertanto è giustamente resa con immagini stranianti, confuse, in cui la sovrapposizione di dettagli e cose si fa nervosa: l’uomo si libera dalla città e ognuno lo fa alla velocità che si è scelto. Dopo c’è il catalogo umano nel quale impera una fisiognomica notturna. Sono gli “animali notturni” il cui cielo è privo di stelle, le cui notti brillano di buio e di un tempo più nero del nero e le cui voci sono le voci di re senza destino. Figure solitarie, divertite e disperate, che vagano nei sobborghi della solitudine con la disinvoltura ama notte. E la notte ricambia, sopprimendo i pensieri oziosi delle sue creature. La notte per loro è la prova dell’inadeguatezza del giorno. L’obiettivo di Sconocchia è lontano dal giudicare, piuttosto registra una distanza, una neutralità che in forza della sua imparzialità, di restituirci una gamma di esperienze. E curiosità, una sana curiosità con cui frugare delicatamente fin dentro le case per fermarsi al bordo di una doverosa discrezione. Finestre come occhi illuminati nell’oscurità e dalla cui lucentezza intravvediamo silhouette, come delle maschere kabuki, persone colte nell’intimità delle loro occupazioni. La notte è anche questo, ed è così vicina da poterne sentire gli umori della solitudine o del raccoglimento. Ma per tutti la notte continua ad avere la forma di quello che manca. Marco Sconocchia dimostra di conoscere la notte, l’attraversa lungo un viaggio che non manca di arricchire la nostra già frequentata e ricca letteratura sul tema. Il suo obiettivo restituisce echi di un’umanità dispersa che cerca di ritrovarsi nell’oscurità, nelle pieghe dell’assenza, perché la notte dissimula i difetti ed è indulgente con i suoi figli: a quell’ora tutti siamo noi stessi.
Giuseppe Cicozzetti
Foto Marco Sconocchia
Not so dark as to dye every thing in black, not so light as to illuminate. It’s that short and melancholic time that is called twilight, a time of recollection, a thoughtful time. Later, a little later, the light will exhale its last ray and open the gate at night. The city has a breath that resembles that of its inhabitants, a breath made of times that regulate its activity.
And the presence on its streets. The photographer Marco Sconocchia, who lives in London, tells the story of the night of the British metropolis. Livid and dark nights that tell the multiplicity of different attitudes of man. Here, in the photographs of Sconocchia, we are invited to witness the overlapping of a human geography that with the complicity of darkness regains the spaces left free, precluded during the day. So here we are witnessing two flows, two different "movements" at the moment of their mutation.
There are those who are preparing to return home, towards the domestic intimacy interrupted by the various occupations and who instead regains possession of an identity "obscured" during the day. The images of Sconocchia's London record the time of this crisis; a daily crisis well developed in the images that refer to a frenzy that seems to want to be resolved in a short time and that is rightly rendered with alienating, confusing images, in which the overlapping of details and things becomes nervous: man frees himself from the city and everyone does it at his own chosen speed.
Then there is the human catalog in which a nocturnal physiognomy prevails. They are the "nocturnal animals" whose sky has no stars, whose nights shine of darkness and of a time blacker than black and whose voices are the voices of kings without destiny. Lonely, amused and desperate figures, wandering in the suburbs of solitude with ease, love the night. And the night returns, suppressing the idle thoughts of its creatures. The night for them is proof of the inadequacy of the day.
Sconocchia’s lens is far from judging, rather it registers a distance, a neutrality that, by virtue of its impartiality, gives us back a range of experiences. And curiosity, a healthy curiosity with which to rummage gently inside the houses to stop at the edge of a dutiful discretion.
Windows like illuminated eyes in the darkness and from whose brightness we glimpse silhouettes, like kabuki masks, people caught in the intimacy of their occupations. This is also the night, and it is so close that you can feel the moods of solitude or recollection. But for all the night continues to have the form of what is missing. Marco Sconocchia proves to know the night, he goes through it along a journey that does not fail to enrich our already frequented and rich literature on the subject.
His lens returns echoes of a dispersed humanity that tries to find itself in the darkness, in the folds of absence, because the night conceals defects and is indulgent with his children: at that time we are all ourselves.
Giuseppe Cicozzetti
ph. Marco Sconocchia