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SCRIPTPHOTOGRAPHY

Oriana MAJOLI                       (Italia)   

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ORIANA MAJOLI

“Ho dentro qualcosa che non si può mostrare” fa dire Shakespeare ad Amleto. E’ l’ignoto che alberga in lui che lo angoscia, il nulla che lo precede e lo attende ad affliggere il principe, un dolore che lo scuote nell’immobile sofferenza della ragione. Qualcosa si agita in noi come un fiume sotterraneo, un sentimento incomprensibile e sordo, la cui voce è come da un’eco ripetuta ma inudibile agli altri. Una luce oscura, che non illumina quanto non possiamo mostrare. La fotografa Oriana Majoli esplora il disagio. Rappresentare quello che non è visibile ha sempre rappresentato per la fotografia una sfida che sta dentro la sua stessa ontologia: il reale, nel suo invalicabile assunto totemico è chiamato a competere con l’invisibilità dei sentimenti, con la natura nascosta della paura, con le sfumature del malessere. Quello che dal punto di vista fotografico sembra una provocazione – riconoscere l’esistenza dell’impalpabilità e fissare la sua dignità soggettiva – è un tema assai frequentato nella contemporaneità delle immagini. Il corpo umano, stabilito il registro espressivo, è il protagonista assoluto, eletto a medium cui affidare lo svolgersi della narrazione del tormento che gli affligge l’anima. Oriana Majoli si muove in un territorio battuto da molti suoi colleghi (si pensi ad esempio a Daniele Cascone, Roberto Kusterle, Maurizio Frullani, Emanuela Cau, Joyce Tenneson) attenti al superamento della immediatezza della fruizione contenutistica, invitando il lettore a una lettura polisemica della composizione. La trama in cui Oriana Majoli articola il suo linguaggio è ricco di “segni”, di doppiezze che veicolano allusioni suggestive e rimandi disturbanti sospesi nell’interregno cognitivo in cui anche la l’oscurità ha una sua lucentezza. In “LVMEN OBSCVRA” la distinzione tra sacro e profano, di cui le simbologie appaiono nella moltiplicazione del loro contenuto, si rincorrono per stabilire una fluidità linguistica in forza della quale, maschere, organze ectoplasmatiche e i segni di una ritualità misteriosa producono visioni che risuonano nell’inconscio. In “De profundis” tutto si infittisce di una sperimentazione extra fotografica che sa essere funzionale al progetto. Qui, tra strappi e lacerazioni che preannunciano creature zoomorfe, assistiamo a un florilegio simbolista che racchiude segreti e miraggi d’una esistenza catturata tra l’onirico e il reale, tra la doppiezza e il suo opposto mentre echeggiano i sensi di un dualismo che vuole rivalutarsi nell’immaginario collettivo. Acqua e creature marine in “De profundis” tornano alla loro natura simbolica. Nell’Antico Testamento l’acqua ha una forte connotazione simbolica: vita, morte, in ogni caso indica in “passaggio” dimensionale; mentre la figura del pesce è altrettanto vivificata come segno di redenzione – e non a caso è stato uno dei primi simboli della cristianità. Le involuzioni corporee, stavolta maschili, della serie “PERSONA” sono uno studio sulla corporeità. L’oltraggiosa ingiuria del malessere proietta la sua luce su corpi che fuoriescono faticosamente da una zona d’ombra, scura come l’angoscia custodita nella mente. Anche qui le intersezioni con altre esperienze conferiscono alle fotografie un senso estraniante, un’oscura lucentezza, un tormento racchiuso dentro un tormento più grande, quello di sapersi imprigionati dentro un corpo che ormai obbedisce solo alle pulsioni dell’inquietudine. Oriana Majoli si districa abilmente nel tenere l’equilibrio tra simboli e materia sul crinale di un verosimile che lotta per imporsi come parte di una realtà esistente, sebbene nascosta, che vive dentro l’animo d’ognuno, perché tutti, e qui torniamo alla citazione iniziale, abbiamo qualcosa che non si può mostrare.

Giuseppe Cicozzetti

da “LVMEN OBSCVRA”; “De profundis”; “PERSONA” 

foto Oriana Majoli 

https://www.orianamajoli.com

I have something in me that I can't show”, says Shakespeare to Hamlet. It’s the unknown that dwells in him that anguishes him, the nothingness that precedes him and awaits him to afflict the prince, a pain that shakes him in the immobile suffering of reason. Something stirs within us like an underground river, an incomprehensible and dull feeling, whose voice is like an echo repeated but inaudible to others. A dark light, which doesn’t illuminate what we can’t show. The photographer Oriana Majoli explores the discomfort. Representing what is not visible has always represented for photography a challenge that lies within its own ontology: the real, in its insurmountable totemic assumption is called to compete with the invisibility of feelings, with the hidden nature of fear, with the nuances of malaise. What from a photographic point of view seems a provocation - to recognize the existence of intangibility and fix its subjective dignity - is a very popular theme in the contemporaneity of images. The human body, having established the expressive register, is the absolute protagonist, elected to a medium to whom to entrust the unfolding of the narration of the torment that afflicts his soul. Oriana Majoli moves in a territory beaten by many of her colleagues (think for example of Daniele Cascone, Roberto Kusterle, Maurizio Frullani, Emanuela Cau, Joyce Tenneson) who are attentive to overcoming the immediacy of content use, inviting the reader to a polysemic reading of the composition. The plot in which Oriana Majoli articulates her language is full of "signs", of duplicity that convey suggestive allusions and disturbing references suspended in the cognitive interregnum in which even darkness has its own brightness. In "LVMEN OBSCVRA" the distinction between the sacred and the profane, of which the symbologies appear in the multiplication of their content, chase each other to establish a linguistic fluidity in virtue of which, masks, ectoplasmic organze and the signs of a mysterious rituality produce visions that resonate in the unconscious. In "De profundis" everything thickens with an extra photographic experimentation that knows how to be functional to the project. Here, between tears and lacerations that predict zoomorphic creatures, we witness a symbolist anthology that contains secrets and mirages of an existence captured between the oniric and the real, between duplicity and its opposite while echoing the senses of a dualism that wants to to re-evaluate themselves in the collective imagination. Water and sea creatures in "De profundis" return to their symbolic nature. In the Old Testament the water has a strong symbolic meaning: life, death, in any case it indicates in dimensional "passage"; while the figure of the fish is likewise vivified as a sign of redemption - and not by chance it was one of the first symbols of Christianity. The body involutions, this time male, from the series "PERSONA" are a study on corporeity. The outrageous insult of malaise casts its light on bodies that laboriously escape from a shadowy area, as dark as the anguish kept in the mind. Here too, the intersections with other experiences give the photographs an alienating sense, a dark brilliance, a torment enclosed within a greater torment, that of knowing that they are imprisoned within a body that now only obeys the anxiety impulses. Oriana Majoli cleverly disentangles herself from keeping the balance between symbols and matter on the crest of a verisimilitude that struggles to establish itself as part of an existing reality, althought hidden, that lives inside everyone’s soul, because everyone, and we return to the initial quotation, have something that can’t be shown.

Giuseppe Cicozzetti

from “LVMEN OBSCVRA”; “De profundis”; “PERSONA” 

ph. Oriana Majoli

https://www.orianamajoli.com

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