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SCRIPTPHOTOGRAPHY

Danny LYON                                                                                                (USA)

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DANNY LYON

Tutto in una notte. New York, capodanno 1966. La notte si abbatte come una parentesi nelle viscere sotterranee della metropoli e nella vita di Danny Lyon, un giovane fotografo normalmente impegnato a raccontare i sommovimenti della società americana e questo continuerà a fare, come spinto da un insormontabile senso di una giustizia che non può essere messa a tacere. Le sue sono fotografie militanti. Ma quella notte Danny Lyon, di ritorno a New York dopo un reportage su un gruppo di motociclisti, non sa come viverla né interpretarla. “Se ti annoi” gli suggerirà sua madre “vai a fare due chiacchiere con qualcuno giù in metropolitana”. Un proverbio ebraico recita che “Dio non poteva essere dappertutto, così ha inventato le madri” e, pertanto noi siamo grati alla mamma di Lyon per il consiglio – gratitudine che vogliamo estendere all’obbediente figlio fotografo che l’ha seguito. La stazione della metropolitana è quella di DeKalb Av, a Brooklyn. Lyon vi scende con una Rolleiflex e un insolito, per lui, rullino a colori, segno dell’estemporaneità del gesto da considerare poco più che un esperimento, tanto che la serie “Underground: 1966” resterà inedita per lungo tempo. Nove fotografie, non di più, ma che rappresentano un concentrato d’umanità e che, guardandole, suscitano in noi la curiosità di sapere la storia dietro quei volti sottratti all’anonimato della momentanea convivenza. Siamo, come si diceva, al limitare di una festività, la gente si affretta chi a tornare a casa chi a festeggiare e in quelle poche foto – dal giovane in smoking al marinaio che ha terminato la sua corvée e ora si accinge a raggiungere i cari – si dispiega il senso di una solitudine che solo la velocità del treno sa abbreviare. E qui Lyon coglie i suoi soggetti nella nudità dell’attesa, quel tempo in cui “la guardia è abbassata e le maschere sono deposte” ma non è a Evans che guarda né ai suoi scatti “rubati”, piuttosto ha negli occhi le vertigini cromatiche di Leiter ed Herzog ed è a queste che risponde, mescolando qua e là qualche inevitabile incursione hopperiana. La maggior parte dei passeggeri nelle fotografie di Lyon non sono colti a loro insaputa, guardano in camera, verso l’obiettivo, segno di una fiducia stabilita all’impronta con il fotografo, una fiducia suggellata dalla rilassatezza della festività. “Underground: 1966” è, dal punto di vista dell’opera complessiva di Danny Lyon, un’incursione in un territorio nuovo, una parentesi felicissima, riuscita e accantonata per riprendere l’impegno che lo condurrà a testimoniare le lotte giovanili per i diritti civili come a raccontare la vita dei detenuti negli istituti penitenziari del Texas. Ma “Underground: 1966” non è andato perduto. Qualche anno fa i newyorchesi hanno potuto ammirarla grazie alla Metropolitan Transit Autorithy che ha installato una mostra (la vedete nell’ultima foto) nel luogo più appropriato, alla stazione della metropolitana di Atlantic Av-Barclay Center. Un omaggio, e insieme il recupero di un piccolo, prezioso momento di un grande fotografo. E una lezione: ascoltare i consigli della mamma.

 

Giuseppe Cicozzetti

da “Underground: 1966” 

 

foto Danny Lyon

 

Just one night stand. New York, New Year's Eve 1966. The night falls like a parenthesis in the underground bowels of the metropolis and in the life of Danny Lyon, a young photographer normally committed to recounting the upheavals of American society and this will continue to do, as driven by an insurmountable sense of justice that cannot be silenced. His are militant photographs. But that night Danny Lyon, returning to New York after a report on a group of motorcyclists, does not know how to live it or interpret it. "If you're bored," his mother suggested, "go have a chat with someone down on the subway." A Hebrew proverb states that "God could not be everywhere, so invented the mothers" and, therefore, we are grateful to the mother of Lyon for the advice - gratitude that we want to extend to the obedient photographer son who followed him. The subway station is DeKalb Av, in Brooklyn. Lyon gets off with a Rolleiflex and an unusual, color roller for him, a sign of the extemporaneousness of the gesture to be considered little more than an experiment, so much so that the "Underground: 1966" series will remain unpublished for a long time. Nine photographs, no more, but which represent a concentration of humanity and which, by looking at them, arouse in us the curiosity to know the history behind those faces removed from the anonymity of the momentary coexistence. We’re, as just said, at the edge of a holiday, people hurry to go home, to celebrate and in those few photos - from the young man in a tuxedo to the sailor who has finished his corvée and is now about to reach loved ones - the sense of loneliness unfolds that only the speed of the train can shorten. And here Lyon captures its subjects in the nakedness of waiting, that time when "the guard is lowered and the masks are laid" but it is not to Evans who looks at or to his "stolen" shots, rather he has chromatic dizziness in his eyes of Leiter and Herzog and it is to these that he responds, mixing here and there some inevitable Hopperian incursion. Most of the passengers in the photographs of Lyon are not caught without their knowledge, they look in the room, towards the lens, a sign of a trust established in the impression with the photographer, a trust sealed by the looseness of the holiday. "Underground: 1966" is, from the point of view of Danny Lyon's overall work, an incursion into a new territory, a happy parenthesis, successful and set aside to resume the commitment that will lead him to witness the youth struggles for rights civilians like to tell the lives of prisoners in Texas prisons. But "Underground: 1966" has not been lost. A few years ago New Yorkers were able to admire it thanks to the Metropolitan Transit Autorithy which installed an exhibition (you can see it in the last photo) in the most appropriate place, at the Atlantic Av-Barclay Center subway station. A tribute, and at the same time the recovery of a small, precious moment of a great photographer. And a lesson: listen to mom's advice.

 

Giuseppe Cicozzetti

from “Underground: 1966” 

 

ph. Danny Lyon

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