FOTOTECA SIRACUSANA
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SCRIPTPHOTOGRAPHY
Andreas KAUPPI (Svezia)
ANDREAS KAUPPI
Figure evanescenti, presenze ectoplasmatiche, ma nel vortice delle metamorfosi e del “disturbo” puntellato da tranelli visivi si coglie un’essenza molto più prossima al vero che una raffigurazione tesa alla chiarezza espositiva. Andreas Kauppi, fotografo svedese cui non difetta un linguaggio esplorativo, espone la sua visione dell’uomo nel corto circuito della consapevolezza della sua fragilità in rapporto con sé stesso. Lo stordimento è elevato a materia di racconto, le trasfigurazioni evadono dall’interesse corporeo per trasmigrare nella sfera dei codici dell’inconscio. Kauppi sfida il linguaggio fotografico nel suo stesso terreno e dalla realtà – che pure è una quinta non meno instabile delle figure – trasmigra nel territorio dei riferimenti psicologici (gli uccelli, in stormo o in sagoma) o onirici (lo straniamento di sciarade notturne) ma sempre con un occhio proteso a una geometria compositiva obbediente a un rigore assoluto. Le evocazioni sono abbondanti, ricche, sono esse stesse linguaggio, un’espressione che incatena immediatamente l’autore al suo lavoro e ne rende riconoscibile ogni singola immagine. Scene in interno, scene in esterno. Come a stabilire una ininterrotta continuità, l’uomo è ovunque attanagliato dalla sua natura come un disagio che non conosce tregua e che ne irrora i giorni. E, pare ancora dire Kauppi, ognuno ha la sua buona dose personale di disagio, ogni volta diversa, ogni volta uguale. Si tratta dunque di dare forma e declinare tutto dentro la lingua della fotografia. Ecco che da una breve ritrattistica sfocata e labile come una spirale di fumo si giunge alle spericolatezze della lunga esposizione per giungere alle torsioni cui ci ha abituati Bacon. Ma durante il percorso una fitta trama di segnali arricchisce – e turba – l’osservazione come flash notturni a cui la coscienza non sa dare nome né spiegazione ma che vivono e continuano a farlo come un segnale insuperato, non decrittabile. E’ evidente come Andreas Kauppi maneggi con abilità il codice dei segni, trasferendo nelle immagini una semiotica dell’invisibile, un nuovo e personalissimo “ónoma” visuale dal quale l’osservatore, superato lo smarrimento, è chiamato a decodificarne il contenuto e, se possibile, districarsi tra il vero e il verosimile, il reale dall’irreale; e in questo gioco di prospettive contenutistiche persino una foto con dei gattini alla finestra ci appare un simbolo da chiarire. Kauppi è assai abile. Il suo mondo artistico è composto da velature, da quinte che si spalancano per chiudersi alla nostra curiosità; ci accompagna finché ritiene opportuno ma poi ci avverte che un senso, quale esso sia, dobbiamo trovarlo noi. E noi, che osserviamo le sue fotografie, indugiamo con un certo compiacimento: davanti a tanta ricchezza il senso può attendere.
Giuseppe Cicozzetti
foto Andreas Kauppi
Evanescent figures, ectoplasmic presences, but in the vortex of metamorphosis and "noise" punctuated by visual tricks, we find an essence much closer to the truth than a representation aimed at the clarity of exposition.
Andreas Kauppi, a Swedish photographer who does not lack an exploratory language, exposes his vision of man in the short circuit of awareness of his fragility in relation to himself. Stunning is elevated to storytelling, transfigurations evade bodily interest to transmigrate into the sphere of the unconscious codes.
Kauppi challenges photographic language in its own terrain and from reality - which is also a non-less unstable backdrop of figures - transmigrates in the territory psychological references (birds, in flock or in outline) or dreamlike (the estrangement of night-time charades) but always with an eye outstretched to a compositional geometry obedient to absolute rigor. The evocations are abundant, rich, they are themselves language, an expression that immediately binds the author to his work and makes each single image recognizable.
Scenes in the interior, scenes in the exterior. How to establish an uninterrupted continuity, man is everywhere gripped by his nature as an uneasiness that knows no respite and that irritates the days. And, Kauppi still seems to say, everyone has his own personal dose of discomfort, each time different, each time the same. It is therefore a question of giving shape and declining everything within the language of photography.
Here from a brief, fuzzy portraiture like a spiral of smoke to reach the recklessness of the long exposure to get to the tensions that Bacon has accustomed us to. But during the journey a dense network of signals enriches - and disturbs - observation as nocturnal flashes to which the conscience can not give a name or explanation but which live and continue to do so as an unsurpassed, non- decryptble signal.
It’s clear that Andreas Kauppi skillfully manages the code of signs, transferring in the images a semiotic of the invisible, a new and very personal visual "ónoma" from which the observer, overcome the loss, is called to decode the content and, if possible, to extricate oneself from the true and the probable, the real from the unreal; and in this game of content perspectives even a picture with kittens at the window there appears a symbol to be clarified. Kauppi is very skilled. His artistic world is composed of veils, from wings that open up to close our curiosity; it accompanies us as long as it deems fit but then warns us that a meaning, whatever it is, we must find it. And we, who observe his photographs, linger with a certain complacency: in the face of so much wealth, meaning can wait.
Giuseppe Cicozzetti
ph. Andreas Kauppi