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SCRIPTPHOTOGRAPHY

Miho KAJIOKA                                                                                    (Japan)

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MIHO KAJIOKA

Prima di cedere alle lusinghe di Pinkerton, in quel meraviglioso balletto d’amore dell’aria “Bimba dagli occhi pieni di malia” da Madama Butterfly, Cho-Cho san lo ammonisce ricordandogli d’avere cura, di non approfittare di lei solo per la vanità maschile della conquista. E sussurra all’ufficiale americano parole di disarmante verità: “Noi siamo gente avvezza alle piccole cose, umili e silenziose, a una tenerezza sfiorante e pur profonda come il ciel, come l’onda del mare”. Tra i due subito si frappone la diversa cultura e non finirà bene. Kamaishi, Giappone 2011. Nella città costiera devastata da un terremoto si abbatte uno tsunami. I morti sono oltre 1250, la città è rasa al suolo. La comunità internazionale si attiva e offre ogni aiuto possibile. Il Giappone ringrazia ma declina l’offerta. Hanno già un piano. I Giapponesi hanno un piano contro ogni cosa. Agli umili e silenziosi, e laboriosissimi nipponici non resta che una difficile e lunga ricostruzione. E non solo della città. Il morale è stato duramente fiaccato dalla terra tremolante e da onde alte oltre cinque metri, e ora, aspetto non meno importante, c’è da recuperare identità e memoria per restituirla agli abitanti. A questo difficile compito viene in soccorso la meraviglia di una natura poco prima avversa: con lo sbocciare della primavera, quasi a dire che la vita è più forte di ogni avversità, i fiori di ciliegio, le rose spuntavano per dire: siamo gemme di vita, veniamo in soccorso d’ognuna delle anime. La fotografa giapponese Miho Kajioka con il suo “And, where did the peacocks go?” si sofferma proprio su questo aspetto: la ricostruzione di una memoria collettiva dopo che ha rischiato d’essere cancellata. Nel domandarsi che fine abbiano fatto i pavoni, domanda che ne contiene un’altra nello specchio retorico delle similitudini, la fotografa di Kyoto dev’essersi chiesto come narrare il periodo successivo alla tragedia per rispondersi, presumiamo, che il solo linguaggio possibile è lo stesso che divampa da millenni nella tradizione giapponese e che ne consolida la natura: discrezione e delicatezza, quasi un sussurro. Nelle fotografie di Kajioka si respira la grande tradizione dell’arte giapponese tanto che sembrano dialogare a distanza con le preziose xilografie di Hokusai, intrecciate con le finissime vedute di Hiroshige o contendere la trasparenza delle opere di Tohaku. Tutto, tema, composizione, linguaggio è allineato alla ricerca d’un equilibrio che affonda le radici nella profondità di una identità qui rivalutata nella sua forma più classica, sebbene non manchino i riferimenti alla fotografia giapponese contemporanea. Il minimalismo che attraversa la serie è anch’esso sostanza d’una tradizione che trasuda essenzialità, così che gli accenni o le figure spesso collocate ai margini della composizione gareggiano, per restituzione di senso, ai brevi, incisivi ed essenziali versi di un haiku. La vita vince, sostiene Miho Kajioka, e noi siamo d’accordo: la vita vince su ogni avversità e lei lo segnala attraverso la dirompente e sottile presenza d’una natura tenace e delicata come un ricamo. Dove sono andati i pavoni? Torneranno presto, ne siamo certi. Torneranno tra le strade e i giardini di Kamaishi insieme alle voci e i ricordi di quanti non ci sono più e verso cui memoria i superstiti hanno l’obbligo di mantenere vivo il ricordo, perché l’uomo muore quando muore la sua memoria. Con umiltà, e silenzio.

Giuseppe Cicozzetti

da “And, where did the peacocks go?”

foto Miho Kajioka

http://mihokajioka.com/

Before indulging in the lure of Pinkerton, in that wonderful love ballet such as "baby with eyes full of spell" by Madama Butterfly, Cho-Cho san warns him by reminding to take care, not to take advantage of her just for the male vanity of conquest. So she whispered words of disarming truth to the American officer: "We are people accustomed to small things, humble and silent, to a touch of lightness that is as deep as heaven, like the wave of the sea". The two cultures immediately come between the two lovers and will not end well. Kamaishi, Japan 2011. A tsunami strikes in the coastal city devastated by an earthquake. The dead are over 1250, the city is razed to the ground. The international community is active and offers every possible help. Japan thanks but declines the offer. They already have a plan. The Japanese have a plan against everything. To the humble and silent, and the most industrious Japanese, there remains only a difficult and long reconstruction. And not just the city. Moral has been severely weakened by the trembling earth and waves over five meters high, and now, no less importantly, there is a need to recover identity and memory to restore it to the inhabitants. To this difficult task comes to the rescue the wonder of a nature just before adverse: with the blossoming of spring, as if to say that life is stronger than any adversity, the cherry blossoms, roses rose to say: we are gems of life, we come to the rescue of each of the souls. The Japanese photographer Miho Kajioka with her "And, where did the peacocks go?" Focuses precisely on this aspect: the reconstruction of a collective memory after she risked being canceled. Asking what happened to the peacocks, a question that contains another in the rhetorical mirror of similarities, the Kyoto photographer must have wondered how to narrate the period following the tragedy to answer, we presume, that the only possible language is the same which has been blazing in the Japanese tradition for thousands of years and which consolidates its nature: discretion and delicacy, almost a whisper. In Kajioka's photographs one breathes the great tradition of Japanese art so much that they seem to talk at a distance with the precious woodcuts of Hokusai, intertwined with the very fine views of Hiroshige or contend the transparency of Tohaku's works. Everything, theme, composition, language is aligned with the search for a balance that is rooted in the depth of an identity here re-evaluated in its most classic form, although references to contemporary Japanese photography are not lacking. The minimalism that runs through the series is also the substance of a tradition that exudes essentiality, so that the references or figures often placed on the margins of the composition compete, by restitution of meaning, with the short, incisive and essential verses of a haiku. Life wins, argues Miho Kajioka, and we agree: life wins over every adversity and she signals it through the disruptive and subtle presence of a tenacious and delicate nature like an embroidery. Where did the peacocks go? They'll be back soon, we're sure. They will return to the streets and gardens of Kamaishi together with the voices and memories of those who are no longer there and to whom the survivors have the obligation to keep the memory alive, because the man dies when his memory dies. With humility, and silence.

Giuseppe Cicozzetti

from “And, where did the peacocks go?”

ph. Miho Kajioka

http://mihokajioka.com/

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