top of page

SCRIPTPHOTOGRAPHY

Susan DE WITT                                                                                 (USA)

coming from darkness 2.jpg

SUSAN DE WITT

Ritratti che fuoriescono come ombre, silenziosi e antichi come memorie sbiadite. Fantasmi. Figure residenti nello spazio del sogno o in qualche luogo remoto dei nostri ricordi. O in entrambi. Sottile è il confine tra sogno e memoria, che perdersi può essere piacevole come l’invito a un gioco. Così dalla foschia di un passato emergono figure ambigue, misteriose ma la cui visione seduce e che si liberano dal fitto reticolo del cosciente. Per tornare. Per rimanere.

Si è detto che la fotografia uccide il tempo e quanto vediamo altro non è che un momento già consumato dal tempo stesso: guardare una foto vuol dire guardarsi indietro, come un automobilista guarda lo specchio retrovisore. Ma “guardare indietro” qui, nelle fotografie dell’americana Susan de Witt, ha qualcosa di moderno, come una forma di resistenza all’inevitabile incedere di una tecnologia che, pare, non ami fare prigionieri.

E sta in una tecnica di sviluppo, la “Lith printing”, un procedimento di stampa a gelatina d’argento esposta e in parte sviluppata in uno sviluppatore litografico in una soluzione molto diluita e che costringe l’immagine a un risultato finale imprevedibile.

 

Ecco dunque creature emergere dall’impalpabile e notturno stato onirico assumere corporeità, una fisicità materializzata dai nostri stessi turbamenti per diventare dirimpettai di una realtà a noi parallela. La serie “Mirage” (un progetto a lungo termine iniziato nel 2009) ha il suo centro nell’evanescenza fantasmagorica di figure che sembrano sfidare il nostro immaginario. Creature ectoplasmatiche – cui non manca una certa beffarda ironia – che Susan de Witt cattura prima che possano svanire nel turbinio del risveglio. Tra i due mondi, l’onirico e il reale, c’è un limbo subliminale, un diaframma sottile che le protagoniste non faticano a superare. La serie “Coming from Darkness” (2010) indaga su una nebbiosità mnemonica, sullo sforzo di assemblare ricordi lontani corrotti dalla porosità del tempo. Ricordi in controluce.

Questo è il terreno su cui si muove Susan de Witt: catturare un ricordo, qualcosa che sappiamo abitare nelle nostre menti ma non ne conosciamo il luogo. E dargli forma.

La ricerca della “forma”, ben lungi dall’essere una semplice investigazione estetica, è un dato ricorrente nelle fotografie che vediamo. La cifra stilistica con la quale sono realizzate le immagini, che come sappiamo è affidata alla tecnica del “Lith printing”, diventa strumento essa stessa, quasi un medium irrinunciabile, un linguaggio capace di traghettare lo spirito di un tempo irreale fin dentro il contemporaneo.

La serie “Paper Dreams” (2015) assolve a questo tentativo: trasportare l’effimera impalpabilità del sogno su una superficie, affinché le immagini diventino cronaca. E infatti la riuscita di un sogno è suggellata da immagini chiare, a fuoco, in alternativa ad altre più sfocate, forse più irraggiungibili e per questo più sfuggenti. 

Susan de Witt ingaggia una lotta antica come l’uomo: gettare luce nelle tenebre affollate di fantasmi per farli affiorare e rendere “umane”, interpretabili, le contorsioni oniriche. 

Le sue. E lo fa con l’onestà che occorre quando si intende sviscerare il groviglio incoerente delle immagini notturne, perché l’incubo assuma una forma con cui convivere. Le fotografie di Susan de Witt dicono proprio questo, narrano di una pacificazione tra il profondo – il mondo notturno dell’onirico – e la realtà chiamata all’impegno della decifrazione di simboli, di segni sconosciuti.

Incubi riusciti si direbbe. E in effetti lo sono, fermati su carta per sempre ed esibiti come “altro da noi”, mentre sappiamo – lo apprendiamo da Susan de Witt – che quei fantasmi, quelle ombre appena abbozzate che lottano contro le tenebre, ci somigliano. Fortemente.

Forse siamo noi stessi.

 

Giuseppe Cicozzetti

da “Mirage”; “Coming from Darkness; “Paper Dreams”

foto Susan de Witt 

 

http://www.susandewitt.net/

 

 

Portraits that emerge as shadows, silent and ancient as faded memories. Ghosts.

Figures dwelling in the dream space or somewhere remote of our memories. Or in both.

Thin is the border between dream and memory, that getting lost can be as enjoyable as an invitation to a game.

So from the haze of a past emerge ambiguous, mysterious figures, but whose vision seduces and free themselves from the dense grid of the conscious. To go back. To stay.

It has been said that photography kills the time and what we see is nothing but a moment already consumed by the same time: looking at a photo means looking back as a car driver looks at the rearview mirror.

But "looking back" here, in the photographs of the American Susan de Witt, has something modern as a form of resistance to the inevitable creep of a technology that, apparently, does not love to make prisoners.

And it is in a development technique, "Lith printing", a silver display gel printing process and partly developed into a lithographic developer in a very diluted solution and that forces the image to an unpredictable result.

Here, then, creatures emerge from the impalpable and night-dreamed oneiric, hire up a corporeality, a physicality materialized by our own turmoil to become a reality parallel to us.

The "Mirage" series (a long-term project begun in 2009) has its center in the fantasmagoric emergence of figures that seem to challenge our imagination.

Ectoplasmic creatures - not lacking in a certain moody irony - that Susan de Witt captures before they can vanish in the swirl of an awakening.

Between the two worlds, dreamlike and real, there is a subliminal limbo, a thin diaphragm that the protagonists do not struggle to overcome. The "Coming from Darkness" series (2010) investigates a mnemonic misty, on the effort to assemble distant memories corrupted by the porosity of time.

Remember in the backlight.

This is the ground on which Susan de Witt moves: capturing a memory, something we know to live in our minds but we don’t know the place. And give it shape.

The search for "form", far from being a mere aesthetic investigation, is a recurring fact in the photographs we see.

The stylistic figure with which the images are made, which we know is entrusted to the technique of "Lith printing", becomes an instrument of its own, almost an indispensable medium, a language capable of crossing the spirit of an unreal time into the contemporary.

The "Paper Dreams" (2015) series assists in this attempt: to carry the ephemeral impalpability of dreams to a surface so that the images become chronicle.

In fact, the success of a dream is sealed by clear images, in focus, as opposed to more blurry, perhaps more unattainable and therefore more elusive.

Susan de Witt hires an ancient struggle like man -  she throws light in the darkness filled with ghosts to make them emerge and make "humane", interpretable, dreamlike contortions.

Her own. And she does it with the honesty that is needed when it comes to wiping out the incoherent tangle of night-time images, because the nightmare takes on a form to live with.

Susan de Witt's photographs just say this, they tell of a pacification between the deep - the nightly world of oneiric - and the reality called for the commitment of the deciphering of symbols, of unknown signs.

Successful nightmares would be said. And in fact they are, stuck on paper forever and performed as "other than us," as we know - we learn from Susan de Witt - that those ghosts, just shaded shadows fighting against the darkness, resemble us. Strongly.

Maybe they are us.

 

Giuseppe Cicozzetti

da “Mirage”; “Coming from Darkness; “Paper Dreams”

 

foto Susan de Witt 

 

http://www.susandewitt.net/

bottom of page