FOTOTECA SIRACUSANA
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SCRIPTPHOTOGRAPHY
Brian DEUTZMAN (USA)
BRIAN DEUTZMAN
Realtà catturate di slancio, immagini nervose e volutamente “sporche” in una “street” contaminata da suggestioni che dal reale dileguano nel territorio dell’onirico. “Havana’s streets” del fotografo statunitense Brian Deutzman racconta l’eccesso notturno di giorni convulsi trascorsi all’incrocio dell’anima latina di una città, nella cui commistione culturale si ravvedono crepe insanabili e una poesia dell’indicibile. Tutto è oscuro, dai dettagli di alberi lampeggianti grazie a un flash invasivo alle carcasse d’auto, ferme come animali morenti. Crepe, si diceva, di un’umanità colta in una vitalità distruttiva, incurante e autoreferenziale e il tutto tradotto con le allusioni dark a cui ci ha abituato una certa fotografia giapponese. Siamo in una terra di contaminazione e dunque “Havana’s streets” non può che risultare ricco di echi, di rimandi all’incrocio tra due culture e dove le eccentricità stabiliscono una nuova modulazione interpretativa, una “presenza” da ascoltare e vedere. Ovunque. Nelle strade consumate dall’incuria come negli obliqui skyline e dove gli animali notturni reclamano uno spazio negato alla luce del giorno. Le immagini sono frammentate, rotte, come un racconto che ha perso l’ispirazione ma che lo ritrova – eccome se lo ritrova – nei versi coraggiosi di un nuovo linguaggio visivo, delirante e delicato che stende ovunque le sue “nuances”, persino in uno still life che ci restituisce in pieno il senso sdrucciolo dell’intero progetto. “Havana’s streets” è un inferno con quale l’uomo sembra essere sceso a patti siglando un accordo rovinoso ma pur sempre vitale e dove l’odore della vita trasuda dalle strade bagnate da una pioggia salvifica e rivelatrice. Siamo nei paraggi dell’astrazione, della metafisica vivente in cui l’uomo, gli animali, le vecchie auto dialogano in un turbinio di voci sbilenche e provvisorie come la vita stessa. Tutto in “Havana’s streets” sembra consumarsi nel momento stesso in cui è ritratto e Deutzman ha appena il tempo di siglare la sua presenza, conclamando quel momento con un blurred assai riuscito o illuminando i dettagli con un flash tagliente come un insulto. La città, nelle intenzioni di Deutzman, è un ribaltamento di codici, quasi ne volesse raccontare il suo doppio, sottolineando gli aspetti più distanti dalla stessa “street photography” – sempre uguale, sempre se stessa – per delineare le fondamenta di uno storytelling di grande impatto emotivo. Con “Havana’s streets” siamo allo scatenarsi del sub limine, di una corrente che si agita e scorre negli anfratti della nostra conoscenza e da cui, attraverso l’osservazione, riceviamo una scossa elettrica, come una sensazione capace di scuoterci eliminando le scorie della ragione. E in questi oceani notturni il cielo gravido di pioggia, le nuvole gonfie di malumore sconfiggono ogni timore e si propongono agli uomini come un cielo riparatore. Brian Deutzman è un poeta delle diseguaglianze, i suoi versi, così post-moderni svicolano per dipanarsi ovunque vi siano occhi per accoglierli e noi, davanti a tanto richiamo non restiamo immobili.
Giuseppe Cicozzetti
da “Havana’s streets”
foto Brian Deutzman
Realities captured in a rush, nervous images and deliberately "dirty" in a "street" contaminated by suggestions that from the real vanish into the territory of the oneiric. "Havana's streets" by the American photographer Brian Deutzman recounts the nightly excess of convulsive days spent at the crossroads of the Latin soul of a city, in whose cultural mixture there are recurrent cracks and a poem of the unspeakable.
Everything is obscure, from the details of flashing trees thanks to an invasive flash to the carcasses of cars, stopped like dying animals. Cracks, it was said, of a humanity caught in a destructive, careless and self-referential vitality and all translated with the dark allusions to which a certain Japanese photography has accustomed us.
We’re on a land of contamination and therefore "Havana's streets" can only be rich in echoes, references to the intersection of two cultures and where eccentricities establish a new interpretive modulation, a "presence" to listen and see. Everywhere.
In the streets consumed by neglect as in the oblique skyline and where nocturnal animals claim a space denied by daylight. The images are fragmented, broken, like a story that has lost its inspiration but which finds it - and how it finds it - in the brave verses of a new visual language, delirious and delicate that spreads its "nuances" everywhere, even in one still life that gives us back the full meaning of the whole project.
"Havana's streets" is a hell with which man seems to have come to terms by signing a ruinous agreement is but still vital and where the smell of life exudes from the streets wet by a saving and revealing rain. We are in the neighborhood of abstraction, of living metaphysics in which man, animals, old cars talk in a whirlwind of lopsided and temporary voices like life itself.
Everything in "Havana's streets" seems to wear out the moment he is portrayed and Deutzman has just time to sign his presence, concluding that moment with a very successful blur or illuminating the details with a sharp flash like an insult. The city, in the intentions of Deutzman, is a reversal of codes, almost wanted to tell its double, emphasizing the most distant aspects of the same "street photography" - always the same, always itself - to outline the foundations of a great storytelling emotional impact.
With "Havana's streets" we are at the unleashing of the subliminal, of a current that’s stirred and flows in the recesses of our knowledge and from which, through observation, we receive an electric shock, like a sensation capable of shaking us eliminating the waste of reason. And in these nocturnal oceans the sky is heavy with rain, the clouds swollen with ill humor defeat all fear and turn to men like a sheltering sky. Brian Deutzman is a poet of inequality, his verses, so post-modern slippers to unravel everywhere there are eyes to welcome them and we, in front so much appeal we don’t remain motionless.
Giuseppe Cicozzetti
from “Havana’s streets”
ph. Brian Deutzman