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Giancarlo CERAUDO                                                  (Italia)

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GIANCARLO CERAUDO

Dal 1976 al 1983 dai cieli d’Argentina piovevano donne e uomini. Non è una metafora, è una storia drammaticamente vera. E non dimenticata. Giovani dissidenti, sovversivi, sospetti e oppositori della dittatura di Videla, venivano caricati a bordo di aeroplani, drogati e scaricati in mare o nel Rio de la Plata come rifiuti di cui sbarazzarsi. Il numero delle vittime è vicino ai cinquemila e va a sommarsi agli oltre trentamila “desaparecidos” colpevoli di opporsi al regime militare. Il fotoreporter italiano e la giornalista Miriam Lewin (sopravvissuta alle carneficine) con “Destino final” concludono un’indagine durata quindici anni il cui scopo, nel tentativo di stabilire un’ulteriore frammento di verità, era raccontare qualcosa di ancora non esplorato. O non del tutto. La ricerca ha il suo inizio nella “caccia” agli aerei, che ora, come vecchie carcasse si trovano tra la stessa Argentina, l’Europa e gli Stati Uniti. Poi i documenti di volo che, sebbene falsati, conservano ancora i nomi dei piloti e dell’equipaggio di morte. Il crimine ha una passione per la contabilità e questo è anche il suo difetto più grande, e a fronte della ricerca gli aguzzini saranno consegnati alla giustizia, molte spoglie ritrovate e ora assegnate a una degna sepoltura.
L’Argentina ha pianto in quegli anni terribili. E con lei le madri che hanno visto sottrarsi i figli: un’intera generazione di giovani è stata sacrificata in nome di una dittatura sanguinaria. Noi europei abbiamo ancora negli occhi il ballo solitario delle madri di plaza de Mayo e il loro civilissimo e straziante grido di giustizia rimasto troppo a lungo inascoltato.
Le fotografie di “Destino final” ripercorrono i luoghi della brutale insensatezza. Senza alcun compiacimento ci conducono nella carne viva della memoria, ma guardare il premio Nobel José Saramago porgere omaggio alle vittime o una madre piangere di fronte al nome del figlio, con la vuota consapevolezza che è tutto quello che le rimane, ci consegna alla commozione. E dopo la necessaria indignazione le lacrime affiorano, prepotenti. 
“Destino final” è un reportage secco, necessario, urgente, che ci prende per accompagnarci nelle viscere del percorso delle vittime: prigioni arrangiate, camere della morte, perché tutti sappiano, perché tutti conoscano cosa l’uomo è in grado di compiere in nome del potere. E, come è stato detto, conoscere è avere coscienza, mentre aggalla in noi la triste consapevolezza mista a terrore che non c’è crimine che l’uomo non sia disposto a ripetere. Come abbiamo visto.

 

Giuseppe Cicozzetti
da “Destino final”

 

foto Giancarlo Ceraudo

From 1976 to 1983 women and men rained from the skies of Argentina. It is not a metaphor, it is a dramatically true story. And not forgotten. Young dissidents, subversives, suspects, and opponents of the Videla dictatorship were loaded on board airplanes, dumped and discharged at sea or in the Rio de la Plata as waste to be rid of. The number of victims is close to five thousand and adds to over thirty thousand "desaparecidos" guilty of opposing the military regime.
The Italian photojournalist and journalist Miriam Lewin (survivor of the carnage) with "Destino final" conclude a fifteen-year investigation whose purpose, in an attempt to establish a further fragment of truth, was to tell something unexplored yet. Or not entirely. The search has its beginning in the "hunt" of planes, which now, as old carcasses lie between Argentina itself, Europe and the United States.
Then the flight records, which, though distorted, still retain the names of the pilots and the crew of death. Crime has a passion for accounting and this is also its biggest defect, and in the face of search, the rioters will be handed over to justice, many found spoils and now assigned to a worthy burial.
Argentina cried in those terrible years. And with her, the mothers who saw their children stealed: a whole generation of young people has been sacrificed in the name of a bloody dictatorship. We Europeans still have in the eyes the lonely dance of the mothers of plaza de Mayo and their very cunning and screaming cry of justice that has remained for too long unheard.
The photographs of "Destino final" recall the places of brutal senselessness. Without any kind of satisfaction they lead us into the living flesh of memory, but watching the Nobel Prize winner José Saramago paying homage to the victims or a crying mother in front of the son's name, with the empty awareness that it's all that remains, gives us emotion. And after the necessary indignation the tears appear, overpowering.

 

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