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SCRIPTPHOTOGRAPHY

Luca CAMPIGOTTO                   (IT)

Luca Campigotto - Gotham City n. 15.jpg

LUCA CAMPIGOTTO

Lo spazio (in)vivibile dell'Uomo si riscatta per divenire metafora dell'assenza e della decostruzione post-atomica. La città umana è Gotham, coacervo di esperienze fluttuanti di luce e malore. Una nuova estraneità con cui venire a patti. Chi raccoglierà la sfida? Certo non gli stessi che l'hanno proposta. Il resto è eredità, livida, straniante, è l'Ordine di un nuovo mondo; nuovi codici, nuovi linguaggi, nuova gente. E' l'alba di qualcosa d'altro, forse la sua fine. Non lo sapremo. Almeno finché non porteremo i nostri passi su quelle strade. Le città di Luca Campigotto abbandonano i canoni visivi tradizionali e rincuoranti per comporre un romanzo fantastico, nel quale il fantasmagorico contende il primato al vero e lo supera. Una rilettura dello spazio. L’uomo è assente ma la sua presenza è impressa in ogni immagine come una libera associazione quale risultato di una scellerata consunzione del suo habitat urbano. Palazzi, edifici, strade appaiono nell’evaporazione del suo protagonista e ora appaiono come ruderi di una post-modernità vista nella fantasia dei cineasti di culto. Lange incontra Ridley Scott e insieme a Katryn Bigelow discutono da una spoglia terrazza di quanto sia cambiata Metropolis, e di quanto sia sconcertante che su quelle strade non vi passeggi una creatura replicata, il clone d’un uomo, il suo alter ego elettronico, un androide che sogni di pecore elettriche. Le fotografie di Luca Campigotto si allontanano dal lavoro di Irene Kung – ammesso che sia questo un obiettivo. Lì, nelle immagini della fotografa svizzera, gli edifici si stagliano nella notte visiva come il risultato di una sottrazione e respirano nell’allontanamento da qualsivoglia dialogo. Qui, nelle fotografie di Campigotto c‘è una vitalità appena interrotta, fissa come un fermo immagine, mentre pare che qualcuno si sia alontanato dalla scena lasciando tutte le luci accese. Sono le luci di una città che orfana del suo dominus appare come un relitto scheletrizzato, una giungla di cemento e luci desertificata nella quale persino Mad Max proverebbe imbarazzo a introdurvisi. Però, c’è un rigore sottolineato dall’occhio del fotografo, tanto che nella luminosa desolazione si articola una disperata poesia dell’oikos, il cuore identitario dell’essere umano, perché una città da sola è un inservibile agglomerato cementizio, tanto che i suoi angoli più noti ci appaiono in forme nuove. Campigotto invita tutti noi a un viaggio, a un’esplorazione nelle viscere d’un apparato visuale che stordisce. Egli è come Virgilio tra i gironi d’un Inferno che conosciamo, ma vederlo allo specchio atterrisce. Appena per un poco, perché la città è nuda, e questo ha l’intrigante sapore della seduzione.

Giuseppe Cicozzetti  

foto Luca Campigotto

http://lucacampigotto.com/

The (un) livable space of Man is redeemed to become a metaphor for absence and post-atomic deconstruction. The human city is Gotham, full of fluctuating experiences of light and illness. A new strangeness with which to come to a deal.

Who’s gonna take up the challenge? Certainly not the same ones who proposed it. The rest is inheritance, livid, alienating, it’s the Order of a new world; new codes, new languages, new people. It’s the dawn of something else, perhaps its end. We won't know. At least until we take our steps on those streets.

The cities of Luca Campigotto abandon the traditional and heartening visual canons to compose a fantastic novel, in which the phantasmagoric contends the primacy to the truth and surpasses it. A reinterpretation of space. Man is absent but his presence is imprinted in every image as a free association as a result of a nefarious consumption of his urban habitat.

Palaces, buildings, streets appear in the evaporation of its protagonist and now appear as ruins of a post-modernity seen in the imagination of cult filmmakers. Lange meets Ridley Scott and together with Katryn Bigelow they discuss from a barren terrace how much Metropolis has changed, and how disconcerting it is that on those streets you will not walk a replicated creature, a man's clone, his electronic alter ego, a android who dreams of electric sheep.

Luca Campigotto's photographs move away from the work of Irene Kung - assuming this is an objective. There, in the images of the Swiss photographer, the buildings stand out in the visual night as the result of a subtraction and breathe in the departure from any dialogue. Here, in Campigotto's photographs there is a barely interrupted vitality, fixed as a still image, while it seems that someone has moved away from the scene leaving all the lights on.

They are the lights of a city that has lost its dominus and appears as a skeletonized wreck, a desertified concrete and light jungle in which even Mad Max would be embarrassed to enter. However, there is a rigor emphasized by the photographer's eye, so much so that in the luminous desolation a desperate poetry of the “oikos” is articulated, the identity heart of the human being, because a city alone is a useless concrete agglomeration, so that the its most famous corners appear to us in new forms. Campigotto invites all of us to a journey, an exploration into the bowels of a stunning visual apparatus. He is like Virgil among the circles of an Inferno we know, but seeing him in the mirror terrifies. Just for a little, because the city is naked, and this has the intriguing taste of seduction.

Giuseppe Cicozzetti  

ph. Luca Campigotto

http://lucacampigotto.com/

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