FOTOTECA SIRACUSANA
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SCRIPTPHOTOGRAPHY
Erwin BLUMENFELD (DE)
ERWIN BLUMENFELD
Il futuro è passato. Molti nemmeno si sono accorti. Il futuro è già stato, e lo dico a quei fotografi convinti che la fotografia sia nata insieme a loro e per questo non fanno altro che ruminare un presente autoreferenziale e privo di sostanza. Punto. Qualcuno prima o poi dovrebbe scrivere un saggio definitivo sul rapporto tra ebraismo e fotografia, per indagare su come sia stato possibile che da una nazione attraversata dal divieto di rappresentare figure umane, nel secolo scorso improvvisamente sia sorto un esercito di grandi fotografi. L’elenco dei fotografi ebrei è lunghissimo: cercare di mettervi ordine comporterebbe il rischio di lasciare fuori più d’un nome eccellente, meglio non farlo, non qui. Chi non va dimenticato è il tedesco Erwin Blumenfeld (1897-1969). Strana la sua vita, strana e avventurosa. A Berlino è amico di Paul Citroen e George Grosz ma lo scoppio della prima Guerra Mondiale li divide. Blumenfeld è arruolato e spedito in Francia a raccogliere cadaveri. Quando di guerra decide d’averne abbastanza diserta e si rifugia in Olanda. Qui sposa Lena Citroen, cugina di Paul. Ad Amsterdam apre un negozio di borse. Dura poco, la sua vita non è fatta per la pelletteria, infatti più che a servire le clienti Blumenfeld era interessato a ritrarle. Le prime foto sono sviluppate in una piccola camera oscura allestita alla meglio sul retro del negozio. Sono anni duri. Per tutti. Nel 1936 lascia Amsterdam si trasferisce dove a quell’epoca chiunque in possesso di un’ambizione avrebbe voluto vivere, Parigi. Blumenfeld scatta in cerca di una occasione che arriva puntuale come un destino. Le sue fotografie sono notate e apprezzate da Cecil Beaton (le malelingue sostengono che oltre alle fotografie Beaton avesse messo gli occhi anche su Blumenfeld) che due anni più tardi gli farà avere il primo lavoro per l’edizione francese di Vogue. Con qualche soldo a disposizione la famiglia lo raggiunge in Francia. Quando scoppia la seconda Guerra Mondiale i Blumenfeld, a causa del loro passaporto tedesco, sono considerati nemici della Francia. Divisi e internati in diversi campi avranno la fortuna di ricongiungersi. Nel 1941 salutano l’Europa, si imbarcano a Marsiglia: destinazione Stati Uniti. New York gli appare “l’unica meraviglia vivente nel mondo, non è come le piramidi, un’opera d’arte ma una gigantesca manifestazione di potere (…) L’America inizia solo dove finisce New York”. Nella metropoli americana divide lo studio con Martin Muncaksi. Il resto è noto, la sua carriera decolla sulle pagine delle più importanti riviste di moda. Lo sguardo fotografico di Erwin Blumenfeld è altissimo. Il periodo “europeo”, è attraversato dal modernismo della sperimentazione artistica che agita la scena artistica che, nella sua fotografia combacia con l’esperienza di Man Ray. La fotografia di moda parla una nuova lingua, a sua. Se guardate ad esempio la foto della modella sospesa sulla Torre Eiffel noterete come lo stesso Lindbergh ne sua stato influenzato al punto di farne una quasi identica. Doppie esposizioni, solarizzazioni una volta negli Stati Uniti lasceranno il posto a una sperimentazione formale, a una libertà di linguaggio acquisita grazie alle committenze pubblicitarie, e senza dimenticare le arditezze che lo hanno contraddistinto (la “mise en abyme” di Audrey Hepburn è un precipizio di suggestioni). Il suo matrimonio con Lena è solido benché Blumental avrà molte amanti giovanissime. Lei gli è fedele. Di più, tollera anche d’avere a fianco le amanti del marito perché le sembra, parole sue “una prerogativa dei grandi, anche Picasso aveva molte amanti”. Morì a Roma nel 1969. Anzi, si lasciò morire: una corsa veloce e il cuore gli scoppiò nel petto. Di Blumenfeld resta una profonda eredità visiva: il futuro è passato ma ogni tanto è bene rincorrerlo.
Giuseppe Cicozzetti
foto Erwin Blumenfeld
Future has gone. Many didn't even notice. Future has already been, and I tell those photographers convinced that photography was born together with them and for this reason they do nothing but ruminate on a self-referential and substanceless present. That’s all.
Someone, sooner or later, should write a definitive essay on the relationship between Judaism and photography, to investigate how it was possible that from a nation crossed by the prohibition of representing human figures, an army of great photographers suddenly appeared in the last century. The list of Jewish photographers is very long: trying to put yourself in order would entail the risk of leaving out more than one excellent name, better don’t, not here.
Who shouldn’t be forgotten is the German Erwin Blumenfeld (1897-1969). Strange his life, strange and adventurous. In Berlin he’s a friend of Paul Citroen and George Grosz but the outbreak of the First World War divides them. Blumenfeld is drafted and sent to France to collect corpses. When he decides to have enough deficiency of war and takes refuge in the Netherlands. Here he marries Lena Citroen, Paul's cousin.
In Amsterdam he opens a bag shop. It doesn't last long, his life is not tailored for leather goods, in fact more than serving customers, Blumenfeld was interested in portraying them. The first photos are developed in a small darkroom set up at the back of the store. They are hard years. For everyone. In 1936 he left Amsterdam to where at that time anyone with an ambition wanted to live, Paris.
Blumenfeld shoot out in search of an opportunity that arrives on time as a destiny. His photographs are noted and appreciated by Cecil Beaton (the gossips claim that in addition to the Beaton photographs he also set his sights on Blumenfeld) that two years later he will have his first job for the French edition of Vogue.
With some cash, the family joins him in France. When the Second World War broke out the Blumenfelds, because of their German passport, are considered enemies of France. Divided and interned in different camps, they will be lucky enough to be reunited. In 1941 they greet Europe, embark in Marseille: destination United States. New York appears to him "the only living wonder in the world, it’s not like the pyramids, a work of art but a gigantic manifestation of power (...) America begins only where New York ends". In the American metropolis he shares the studio with Martin Muncaksi.
The rest is known, his career takes off on the pages of the most important fashion magazines. The photographic look of Erwin Blumenfeld is very high. The "European" period is crossed by the modernism of artistic experimentation that stirs the art scene which, in his photography, matches the experience of Man Ray. Fashion photography speaks a new language to you. If you look for example at the photo of the model suspended on the Eiffel Tower you will notice that Lindbergh has been influenced to the point of making an almost identical one.
Double exposure, solarization once in the United States will give way to formal experimentation, to freedom of language acquired thanks to advertising commissions, and without forgetting the boldness that distinguished it (Audrey Hepburn's "mise en abyme" is a precipice of suggestions). The marriage with Lena is solid although Blumental will have many very young lovers. She is faithful to him. What's more, she also tolerates having her husband's lovers by her side because it seems, in her words "a prerogative of the great, even Picasso had many lovers". He died in Rome in 1969. In fact, he let himself die: a fast run and his heart burst in his chest. Blumenfeld remains a profound visual legacy: the future has passed but every now and then it is good to chase it.
Giuseppe Cicozzetti
foto Erwin Blumenfeld