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SCRIPTPHOTOGRAPHY

Valerio  BISPURI                                                                           (IT)

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VALERIO BISPURI

Recita l’articolo 27 della Costituzione Italiana: “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”. Se osserviamo però il reportage di Valerio Bispuri notiamo immediatamente una crisi tra il nobilissimo assunto scritto dai padri costituenti e la realtà. Si è detto che la Giustizia è un concetto astratto finché non trova le sue applicazioni nella pratica quotidiana ma, a guardare “Prigionieri” sembra che il Diritto si arresti alle porte d’ogni carcere e che soprattutto non ne voglia sapere di entrarci. Non siamo dalle parti di “Encerrados” un reportage duro, difficile che ha permesso a Bispuri di illustrare le condizioni di vita dei detenuti nella carceri di oltre settanta paesi latinoamericani, siamo dove non ci si aspetta che le stesse condizioni possano essere replicate. Carcere di Poggioreale, Napoli. Valerio Bispuri fotografa senza censura un mondo chiuso, sovraffollato dove la prima pena da scontare non è la privazione della libertà ma la spoliazione della dignità umana. Poggioreale è un esempio di quella edilizia penitenziaria progettata per affliggere ai detenuti il massimo della sofferenza. Qui, tra celle fatiscenti e sovraffollate si consuma la sconfitta del carcere visto come luogo di rieducazione, un luogo nel quale il detenuto è inserito in un percorso di recupero per essere restituito alla società al termine della pena. Se il carcere, al netto delle eccezioni e in Italia le eccezioni non sono moltissime, è visto più come una gigantesca camicia di forza di sbarre e cemento o come la dura risposta dello Stato a chi trasgredisce le regole della convivenza, la “Civiltà del Diritto” avrà smarrito la sua identità; e in questa crisi ogni cosa diventa possibile. Ha detto Dostoevskij che “il grado di civilizzazione di una società si misura dalle carceri”. Niente è più vero, e da queste immagini apprendiamo che date le specifiche condizioni, nel quale il degrado impera come una malattia endemica, le carceri sembrano essere progettate per umiliare l’essere umano, per porsi al comando del suo destino e renderlo pericoloso l’uno con l’altro. Le fotografie di “Prigionieri” ci colpiscono come la verità, con una forza che non lascia indifferenti. Eppure dobbiamo fare un piccolo sforzo: dobbiamo immaginare noi stessi nel vivere una vita senza destino, senza alcun progetto o prospettiva. Dobbiamo immaginarci a vivere una vita in cui siamo ammassati nei pochi metri quadrati di una cella, in cui si cucina mentre si defeca e dove le più basilari esigenze di privacy sono annullate allora comprenderemo che il carcere è stato inventato da qualcuno che non vi ha mai messo piede. Da “Prigionieri” ricaviamo consapevolezza e vergogna. La consapevolezza sorge nel vedere quello che non avremmo voluto sapere, il Diritto cioè che muore imprigionato tra le sbarre, un luogo in cui la società guarda se stessa attraverso uno specchio distorto mentre calpesta la dignità di uomini che hanno sbagliato ma che restano uomini. La vergogna ci proviene per le stesse ragioni. Una vita carceraria dignitosa è indice di una società rispettosa non già dei detenuti ma di se stessa, e questa è una garanzia per ognuno di noi: la sua assenza è un pericolo per tutti. Valerio Bispuri con “Prigionieri” ridiscende gli inferi per dirci che “Encerrados” non è poi così lontana da noi, che calpestare i diritti dei detenuti non è una solo una vocazione sudamericana, non avviene lontano da noi. Avviene anche qui, nella culla del Diritto che pare liberarsi di uomini ritenuti scarti e dunque in piena contraddizione con lo spirito della Costituzione. Se lo Stato vuole “vincere” diventando un soggetto più pericoloso di chi combatte non solo sbaglia ma abdica dalla sua funzione. Nessuno sarà educato attraverso vessazioni, sofferenza e ingiustizia. Nessuno.

 

Giuseppe Cicozzetti

da “Prigionieri”

 

foto Valerio Bispuri

 

http://www.valeriobispuri.com/vb16/

Article 27 of the Italian Constitution reads: "The penalties cannot consist in treatments contrary to the sense of humanity and must tend to the rehabilitation of the condemned". But if we look at the report by Valerio Bispuri we immediately notice a crisis between the noble assumption written by the constituent fathers and reality.

It has been said that Justice is an abstract concept until it finds its applications in daily practice but, looking at "Prisoners" it seems that Law stops at the gates of every prison and above all does not want to know to enter it. We are not on the side of "Encerrados" a hard, difficult report that has allowed Bispuri to illustrate the living conditions of prisoners in over seventy Latin American countries, we are where we do not expect the same conditions to be replicated.

Poggioreale prison, Naples. Valerio Bispuri photographs a closed, overcrowded world without censorship where the first penalty to be served is not the deprivation of freedom but the stripping of human dignity. Poggioreale is an example of the penitentiary building designed to afflict prisoners the maximum suffering.

Here, between crumbling and overcrowded cells, the defeat of the prison is consummated, seen as a place of re-education, a place where the prisoner is placed on a path of recovery to be returned to the company at the end of the sentence. If the prison, excluding exceptions and in Italy the exceptions are not many, it is seen more as a giant straitjacket of bars and cement or as the harsh response of the State to those who transgress the rules of coexistence, the "Civilization of Law” will have lost its identity; and in this crisis everything becomes possible. Dostoevsky said that "the degree of civilization of a society is measured by prisons". Nothing is more true, and from these images we learn that given the specific conditions, in which the degradation reigns as an endemic disease, prisons seem to be designed to humiliate the human being, to put himself in command of his destiny and make it dangerous one with the other.

The photographs of "Prisoners" strike us as a truth, with a strength that does not leave us indifferent. And yet we must make a little effort: we must imagine ourselves living a life without destiny, without any project or perspective.

We must imagine ourselves living a life in which we are amassed in the few square meters cell, in which we cook while we defecate and where the most basic demands for privacy are nullified then we will understand that the prison was invented by someone who never has set his feet.

From "Prisoners" we gain awareness and shame. Awareness arises when we see what we would not have liked to know, that is, the Law that dies imprisoned between bars, a place where society looks at itself through a distorted mirror while trampling the dignity of men who have made mistakes but who remain men. Shame comes to us for the same reasons.

A dignified prison life is a sign of a society that is respectful not of prisoners but of itself, and this is a guarantee for each of us: its absence is a danger for everyone. Valerio Bispuri with "Prisoners" descends the underworld to tell us that "Encerrados" is not so far from us, that trampling on the rights of prisoners is not just one South American vocation, it doesn’t happen far from us.

It also happens here, in the cradle of Law that seems to be getting rid of men considered waste and therefore in full contradiction with the spirit of the Constitution. If the state wants to "win" by becoming a more dangerous subject than those who fight, it not only errs but abdicates from its function. Nobody will be educated through harassment, suffering and injustice. Nobody.

 

Giuseppe Cicozzetti

from “Prigionieri”

 

ph. Valerio Bispuri

http://www.valeriobispuri.com/vb16/

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