FOTOTECA SIRACUSANA
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SCRIPTPHOTOGRAPHY
Eve ARNOLD (USA)
EVE ARNOLD
José Saramago ha confessato di aver trascorso la vita guardando gli occhi delle donne, il solo posto del corpo dove trovare l’anima. E gli occhi delle donne sono diversi da quelli degli uomini. Qualcuno più titolato di me dovrebbe scrivere dell’esistenza nella fotografia di una questione di genere, ovverosia se riusciamo a stabilire solo guardando una foto se chi ha scattato un immagine sia donna oppure uomo. La questione è aperta. Molti sono pronti a giurare che “sì, certamente, come no?”, altri sono più cauti, altri ancora negano. Eppure osservando le fotografie di Eve Arnold (voglio ricordarla come la prima fotografa a fare ingresso nella prestigiosa agenzia Magnum) abbiamo la sensazione di aver sollevato una giusta questione, perché abbiamo la sensazione che solo la sensibilità femminile possa produrre immagini in cui la grazia compositiva sposa il rispetto per il soggetto. Si badi: per quanto Eve Arnold sia ricordata come “la fotografa di Marilyn” (basta il nome a ricordare una donna come lei) o di molte altre celebrità la fotografa stabiliva un coté confidenziale e, soprattutto rispettoso, con altri invece sconosciuti. Questa sensibilità non può essere ascritta semplicemente a una norma deontologica, al corredo professionale di un fotografo, quanto a un naturale e radicato riguardo dei rapporti umani: non tutti lo hanno o, almeno, non tutti lo hanno in egual misura; certamente pochissimi lo posseggono al pari di Eve Arnold: la sicurezza emotiva con cui guadagnava il soggetto le permetteva di stabilire una profonda empatia, una sensazione di complicità, un filo invisibile e diretto tra l’obiettivo e “l’altro”. E poco importa se “l’altro” fosse un mito del cinema o una prostituta in un bar dell’Avana, perché un ritratto è un genere di fotografia che sviluppa un duplice contatto, un doppio binario comunicativo che confluisce in una duplice lettura del soggetto: il fotografo che fa un ritratto altro non fa che fotografare se stesso. Ma Eve Arnold amava snidare il mito, ne rispettava il ruolo iperbolico ma ci restituisce immagini di donne la cui distanza dai mortali è abbreviata da una certa ironia, un cenno che ne faccia comprendere la corporeità (le smorfie di Marlene Dietrich, Silvana mangano o i triplici ritratti di Joan Crawford ne sono un elegantissimo testimone). Eleganza, compostezza e rispetto, cui aggiungerei una certa dose di tenerezza – questa sì, di genere – verso una madre che si allunga per assistere ai primi cinque minuti del figlio appena venuto al mondo. Fotografie diventate icone, di un’epoca, di un momento privato, che travalicano la cronaca per divenire esse stesse Storia, perché quando una fotografia balza oltre la sua “cornice” diventa parte del costume della nostra società.
Giuseppe Cicozzetti
foto Eve Arnold
José Saramago confessed to having spent his life looking at the eyes of women, the only place in the body where to find the soul.
And the eyes of women are different from those of men. Someone more titled than me should write of the existence in the photograph of a question of gender, that’s if we can only establish by looking at a picture if the person who took an image is a woman or a man. The question is open.
Many are ready to swear that "yes, certainly, why not?", Others are more cautious, others still deny. Yet looking at the photographs of Eve Arnold (I want to remember her as the first photographer to enter the prestigious Magnum agency) we have the feeling of having raised a fair question, because we have the feeling that only female sensitivity can produce images in which the compositional grace marries respect for the subject.
Mind you: as much as Eve Arnold is remembered as "the photographer of Marilyn" (enough the name to remember a woman like her) or of many other celebrities, the photographer established a confidential and, above all respectful, coté with others unknown. This sensitivity can not be ascribed simply to a deontological norm, to the professional set of a photographer, as to a natural and rooted regard of human relationships: not all have it, or at least not all have it in equal measure; certainly very few possess it like Eve Arnold: the emotional security with which he earned the subject allowed her to establish a deep empathy, a feeling of complicity, an invisible and direct thread between the lens and "the other".
It does not matter if "the other" was a movie star or a prostitute in a bar in Havana, because a portrait is a kind of photography that develops a double contact, a double communication path that flows into a double reading of the subject: the photographer who makes a portrait does nothing more than photograph himself.
But Eve Arnold loved to disentangle the myth, he respected its hyperbolic role, but it gives us images of women whose distance from mortals is abbreviated by a certain irony, a sign that makes them understand the corporeity (the grimaces of Marlene Dietrich, Silvana mangano or triples portraits of Joan Crawford are an extremely elegant witness). Elegance, composure and respect, to which I would add a certain dose of tenderness - this yes, of a genre - towards a mother who stretches to witness the first five minutes of her son who has just come into the world. Photographs become icons, of an era, of a private moment, which go beyond the news to become themselves History, because when a photograph jupms beyond its "frame" becomes part of the custom of our society.
Giuseppe Cicozzetti
ph. Eve Arnold