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SCRIPTPHOTOGRAPHY

Israel ARIÑO                            (Spagna) 

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ISRAEL ARIÑO

Ha scritto T. S. Eliot che “la mezzanotte scuote la memoria come un pazzo scuote un geranio appassito”. Con un vagare da sonnambulo, mentre la luna strizza il suo occhio languido e sorride in un angolo, ci inerpichiamo nella notte misteriosa e affascinante che il fotografo catalano Israel Ariño interpreta per noi. L’oscurità atterrisce l’uomo che della notte nulla sa se non l’ombra; e lungo la strada, con le sole stelle a far da testimone, facile è smarrirsi. Osservando “Espacio Imaginario”, la suggestiva serie di Ariño, siamo spinti ad addentrarci in un territorio distopico, quasi che Lewis Carrol avesse lui deciso di riscrivere un sogno di mezza estate e riempirlo di urticante mistero. Nelle fotografie di “Espacio Imaginario” – la tecnica è quella del collodio umido – le figure, siano esse rocce, edifici, alberi isolati o fugaci ritratti ci appaiono in forma fantasmagorica, dove l’allusione prevale su un racconto che fatica a prevalere sulla lucidità; e dunque come l’incedere interrotto d’una parola zoppicante, il racconto deve sfociare nell’immaginifico per ritrovare un senso altrimenti oscuro, irrimediabilmente perduto tra le siepi dell’incoerenza. La notte come presagio, il sogno come dono; e il dono è uno spazio i cui rami grondano frutti di un reale più vero del vero. Israel Ariño fotografa come un poeta scrive versi: le allusioni, i cenni, i richiami più potenti sono scelti nel frastuono dell’incoerenza di visioni che intendono organizzarsi senza padrone ma che invece, così accuratamente organizzati, ci convincono d’obbedire docilmente ai comandi dell’occhio. Ogni cosa è disposta secondo le disposizioni d’un oracolo in debito con la verità e quindi costretto a narrarci quello che vede per noi, a narrare di noi, visioni gravide del nostro futuro. Il presagio è sulla porta del nostro cosciente, e noi, a sentirlo bussare, abbiamo già negli occhi il torbido mare o la balza lamentevole da cui ruzzola un fiume o ancora ascoltiamo già il vento che s’appresta a mugghiare su tutte le cose. Ma Israel Ariño invita a fidarsi della notte, a indugiare tra le sue pieghe e contemplare la natura trovandoci idealmente uniti ai versi di Quasimodo, per cui “la notte ha sempre avuto un aspetto più famigliare di quello dell’uomo; e nell’ombra stellata della sua solitaria bellezza ho appreso il linguaggio di un altro mondo”. Noi non possiamo che condividere il pensiero del poeta italiano e, al contempo, suggellare l’apprezzamento a “Espacio Imaginario” lasciando che i nostri occhi indugino davanti alle fotografie il tempo da loro stessi scelto.

 

Giuseppe Cicozzetti

da “Espacio Imaginario”

 

foto Israel Ariño

 

https://israelarino.com/

T. S. Eliot wrote “midnight shakes memory as a madman shakes a dead geranium”. With a sleepwalker wandering, while the moon winks at his languid eye and smiles in a corner, we climb into the mysterious and fascinating night that the Catalan photographer Israel Ariño interprets for us.

The darkness terrifies the man who knows nothing of the night except the shadow; and along the way, with the only stars to witness, it's easy to get lost. Looking at "Espacio Imaginario", the suggestive series of Ariño, we are driven to enter a dystopian territory, almost as if Lewis Carrol had decided to rewrite a midsummer dream and fill it with stinging mystery.

In the photographs of "Espacio Imaginario" - the technique is the wet collodion - the figures, be they rocks, buildings, isolated trees or fleeting portraits appear to us in phantasmagoric form, where the allusion prevails over a story that struggles to prevail over lucidity; and therefore as the interrupted gait of a limping word, the story must flow into the imaginative to find an otherwise obscure sense, irretrievably lost among the hedges of incoherence.

The night as an omen, the dream as a gift; and the gift is a space whose branches are laden with fruits of a truth that is truer than truth. Israel Ariño photographs how a poet writes verses: the allusions, the hints, the most powerful references are chosen in the din of the inconsistency of visions that intend to organize themselves without a master but instead, so carefully organized, convince us to obey at the commands of his eye.

Everything is arranged according to the provisions of an oracle in debt to the truth and therefore forced to tell us what it sees for us, to tell of us, pregnant visions of our future. The omen is on the door of our conscious, and we, having heard it knocking, already have in our eyes the murky sea or the lamentable cliff from which a river tumbles or we are already listening to the wind that is preparing to blowing over all things.

But Israel Ariño invites us to trust the night, to linger in its folds and contemplate nature, finding ourselves ideally united with the verses of Quasimodo, so “the night has always had a more familiar aspect than that of man; and in the starry shadow of his solitary beauty I learned the language of another world”. We can only share the thought of the Italian poet and, at the same time, seal the appreciation to "Espacio Imaginario" letting our eyes linger in front of the photographs for the time they themselves chose.

 

Giuseppe Cicozzetti

from “Espacio Imaginario”

 

ph. Israel Ariño

 

https://israelarino.com/

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