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Manuel ÁLVAREZ BRAVO (Messico)
MANUEL ÁLVAREZ BRAVO
Pochi fotografi al mondo hanno saputo coniugare l’essenza del proprio tempo con ironia e passione e, al tempo stesso, dichiarare al mondo che il destino è l’invenzione dei rassegnati. Delle sue fotografie il pittore e amico Diego Rivera ha detto che erano “messicane per causa, forma e contenuto” e che “l’angoscia è onnipresente e l’atmosfera sovraccarica di ironia”. Credo che nessuno mai abbia saputo definire meglio il lavoro di Manuel Álvarez Bravo (1902-2002). Angoscia, passione, ironia. E una indiscutibile vena di surrealismo. E tutto da autodidatta, come se la genialità avesse deciso di donarsi per intero a un figlio del Messico cresciuto tra gli spari e i tumulti della Rivoluzione. Edward Weston lo incoraggia. Le sue fotografie, disse il maestro americano, “trasudano polvere e sangue” e quando Tina Modotti – che di Weston era la compagna – fu costretta a lasciare il Messico lui rilevò gran parte delle sue attrezzature. Il resto è storia. Della fotografia, naturalmente, ma anche di un Paese che aveva saputo ricostruirsi come come una repubblica moderna e democratica fondata su profonde riforme sociali ed economiche. Di questo “Rinascimento messicano” Álvarez Bravo, che assorbe lo spirito creativo sotto la sponsorizzazione di un governo che promuove le arti e la cultura, non dimenticherà quanti ne sarebbero fatalmente dimenticati o esclusi in un “indigenismo” che mira alla rivalutazione della cultura popolare come aspetto fondante dell’identità messicana. Ma tutto è declinato nelle aspirazioni surrealiste di una fotografia che tende a imporsi come una presenza tra le arti, al pari dei murales di Rivera o Siqueiros. Ritratti, dunque, di donne e uomini le cui figure ci appaiono insidiate dalla luce del sole e dove l’ombra è una risultante efficacissima della costruzione volumetrica. La luce di Álvarez Bravo non lascia scampo. Che sia tra le volute polverose che avvolgono una pensosa fanciulla affacciata a una ringhiera o incipiente, come nel caso della giovane donna allo specchio, che segnala la sua arrogante determinazione a ritagliarne il corpo con violenta una rasoiata, la luce è protagonista in un’alternante relazione di dominio con le ombre. Eppure, ancora non basta per risolvere la centralità del tema, il tentativo di vuole elevare un momento persino banale in un’esperienza umana condivisa – ed è per questo che Henry Cartier-Bresson (con cui Álvarez Bravo esporrà a New York nel 1933) amava il lavoro del fotografo messicano. Il Messico ha amato Álvarez Bravo e lui ha amato il suo Paese fino all’ultimo dei suoi cento anni di vita. Ne ha saputo ascoltare la storia, le tradizioni, il terribile e mai risolto rapporto con il mistero della morte, il sincretismo delle congiunzioni religiose, le feste, le sofferenze, le risa e i dolori, quali imprescindibili ingredienti di un racconto che finirà per travalicare la specificità nazionale per dilagare nell’universalità delle cose dell’uomo. Il lavoro di Álvarez Bravo sarà seminale e molti vi si ispireranno al punto che ancora oggi sono molti i fotografi d’ogni parte del mondo che sotto varie forme pagano il loro tributo all’ispirato talento messicano.
Giuseppe Cicozzetti
foto Manuel Álvarez Bravo
Few photographers in the world have been able to combine the essence of their time with irony and passion and, at the same time, declare to the world that destiny is the invention of the resigned. Of his photographs the painter and friend Diego Rivera said they were "Mexican for cause, form and content" and that "anguish is omnipresent and the atmosphere overloaded with irony".
I believe that no one has ever been able to better define the work of Manuel Álvarez Bravo (1902-2002). Anguish, passion, irony. And an indisputable vein of surrealism. Self-taught, as if genius had decided to give himself entirely to a son of Mexico who grew up among the gunshots and the tumults of the Revolution. Edward Weston encourages him. His photographs, the American master said, "exude dust and blood" and when Tina Modotti - who was Weston's companion - was forced to leave Mexico, he took over most of her equipment.
The rest is history. Of photography, of course, but also of a country that had been able to rebuild itself as a modern and democratic republic founded on profound social and economic reforms. Of this "Mexican Renaissance" Álvarez Bravo, which absorbs the creative spirit under the sponsorship of a government that promotes the arts and culture, will not forget those who would be fatally forgotten or excluded in an "indigenism" that aims at revaluing popular culture as fundamental aspect of Mexican identity.
But everything is declined in the surrealist aspirations of a photograph that tends to impose itself as a presence among the arts, like the murals of Rivera or Siqueiros. Portraits, therefore, of women and men whose figures appear to us undermined by the light of the sun and where the shadow is a very effective result of the volumetric construction. The light of Álvarez Bravo leaves no way out. Whether it is among the dusty volutes that surround a pensive girl facing a railing or incipient, as in the case of the young woman in the mirror, who signals its arrogant determination to carve out her body with a violent razor, light is the protagonist in an alternating domain relationship with shadows.
And yet, it is still not enough to resolve the centrality of the theme, the attempt to raise an even banal moment in a shared human experience - and that is why Henry Cartier-Bresson (with whom Álvarez Bravo will exhibit in New York in 1933) loved the work of the Mexican photographer. Mexico loved Álvarez Bravo and he loved his country until the last of his hundred years of life. He has been able to listen to the history, the traditions, the terrible and never resolved relationship with the mystery of death, the syncretism of religious conjunctions, the feasts, the sufferings, the laughter and pains, which are essential ingredients of a story that will end up going beyond the national specificity to spread in the universality of human things.
Álvarez Bravo's work will be seminal and many will be inspired by it to the point that even today there are many photographers from all over the world who in various forms pay their tribute to the inspired Mexican talent.
Giuseppe Cicozzetti
ph. Manuel Álvarez Bravo